FERDINANDO PETRUCCELLI DELLA GATTINA
Il sorbetto della regina
(1875)
CAPITOLO
VIII.
Castellamare.
è
impossibile che alcuno dei nostri lettori non sia mai stato a Castellamare. Pel
momento l'è Ischia, luogo di bagni e di ritrovo di piacere nel medesimo tempo
che tiene il campo della moda.
Comunque
sia, gli è nei mesi di luglio e agosto che bisogna visitare Castellamare,
rinomata per la bellezza dei suoi asini, e la bruttezza delle sue donne.
Castellamare è l'anticamera di Sorrento, cantata da Lamartine e da lord Byron,
patria del buon vitello... e degli aranci profumati.
In
questa stagione dell'anno, le acque richiamano gli ammalati da tutti i punti
dell'ex-regno, i gastronomi, che vengono a scontare le indigestioni di
dieci mesi, i disgraziati cui la medicina abbandonò.
Voi
che avete visitato le città ed acque della Germania e dei Pirenei, e le città
da bagni della Francia e dell'Inghilterra, non vi aspettate di trovare a
Castellamare ridotti da giuoco, saloni da conversazione, balli e musica,
passeggiate, boschetti, restaurant, alberghi,
divertimenti, dame, i lions dello sport
e del turf, un teatro, un caffè cantante od anche un semplice caffè, -
una festa qualunque infine, tranne la processione di san Catiello. - Dio
vi abbia in guardia, se vi recate con queste idee diaboliche del mondo
incivilito, che non è il mondo della Chiesa, e non era quindi neppur
quello dei Borboni. La vita a Castellamare è più casalinga, più santa, quasi
una vita di zoccolante. La noia non vi segna
mai meno dei 94 ai 97 gradi centigradi.
Castellamare
non è che una lunga e sporca via in riva del mare, ove il sole vi cuoce durante
il giorno, e l'umidità vi bagna durante la notte. Ovunque il fango o la
polvere. Poi alcuni orribili chiassuoli, una dozzina di case di campagna perdute
sulla montagna, a perpendicolo sul borgo, ed un equivoco di strada lambe i piè
di codesta montagna, e vi si nuota in ondate convulse di polvere. Finalmente un
piccolo sito, chiuso da inferriate, detto lo
stabilimento, ed una sembianza di giardino, ove l'ortica e la malva si beano
nella loro vegetazione spontanea. Non parlo degli insetti, prodotto naturale del
paese.
Ecco
ciò che l'uomo ha fatto di Castellamare.
Ciò
che ne ha fatto la natura è incomparabile.
Quel
mare, quel cielo, quella montagna, quei paesaggi, quei spuntar dell'aurora, quei
tramonti, quelle feste di stelle la notte, tutto è delizioso, inebbriante,
incantatore.
Lena
aveva sempre vissuto a Napoli. Fu rapita di vedere Portici, il boschetto del
Palazzo Reale, la Favorita a Resina, Torre del Greco inerpicata al Vesuvio, o
meglio ribaditavi dalla lava, bitume di ferro, Torre dell'Annunziata, Pompei...
Arrivarono a Castellamare la sera. Don Gabriele - i nostri lettori
l'avranno di già riconosciuto - volle mostrarle tutto ciò, non foss'altro
per disorientare la polizia, la quale avrebbe potuto sorvegliare Ondina, onde
ritrovare le traccie del marchese di Diano.
Si
recarono all'albergo dell'Europa, ove si è sicuri di trovar sempre alloggio,
poiché l'è troppo caro per gli avventori ordinari di questa città di bagni.
Costoro si alloggiano in camere mobigliate.
Lena dormì bene e si svegliò tardi la mattina susseguente. Dico che si
risvegliò. Dovrei dire fu risvegliata. Si picchiò alla sua porta: scese dal
letto in accappatoio da notte, ma al momento stesso la porta s'aprì, ed un
monello, dorato al sole come un dattero, il petto ignudo, senza scarpe, in
maniche di camicia, il berretto alla mano, si presentò fissando sulla giovane
donna due occhi come due áncore di cristallo. Egli si avanzò liberamente e le
chiese:
-
Come lo vuole, vostra eccellenza?
-
Chi sei tu? cosa vuoi? gridò Lena spaventata. Va via, via subito: non vedi che
non posso riceverti in questi arnesi?
-
Cosa importa? I miei sono alla grazia di Dio. Sono venuto per domandarvi se lo
volete calzato o no?
-
Esci, ti dico, o chiamo, e ti fo gettare dalla finestra.
-
Sarebbe la via la più corta. E vostra eccellenza sa che per la via più corta,
come dice il padre Sillario, non si va in paradiso.
-
Ma finalmente cosa vuoi? di che parli?
-
Ma, Signor Dio benedetto, parlo dell'asino, dunque. Di che volete che vi parli?
-
Esci, ti replico.
-
Signora principessa, manca poco che mi prendiate per un ladro. Me ne vado: se
vostra eccellenza ha bisogno di un asino o due, che faccia chiamare Antonio,
conosciuto nelle quattro parti del mondo. Le milady inglesi non vogliono che me.
Mi hanno ficcato persino nei libri. E non lo dico per piaggiarvi, ma ho un asino
tanto bello quanto vostra eccellenza. Se lo vedeste! si alza sulle due zampe di
dietro e recita il panegirico di santa Filomena. E poi, ha una voce, una voce...
Sfido i canonici della cattedrale di farne udire di più deliziose. Mi
consigliarono di esporlo al concorso pel posto di cantore al coro di Massa. Sì,
l'udrete come esso gorgheggia l'Ite missa
est! E poi come galoppa, come bacia le mani con grazia e buona creanza... In
una parola, che vostra eccellenza non dimentichi il suo Antonio, e la vedrà.
Balaam non fece un sogno quando profetizzò la sua somara: me lo disse un giorno
il curato.
-
Hai finito?... Vattene ora a tutti i diavoli.
-
Vado ad aspettare vostra eccellenza.
Per
dire la verità, Antonio aveva un po' esagerato le qualità della sua
cavalcatura comparandola alla bellezza di sua eccellenza. Il suo somaretto era
magro, lungo, ossoso, sciancato. Ma Antonio, da ragazzo astuto, da uomo che dava
la metà del suo guadagno al padrone dell'albergo, fece trovare la sua bestia ed
una compagna di mangiatoia alla porta dell'albergo, ogni concorrenza messa da
banda.
Lena
e don Gabriele furono quindi obbligati di contentarsi di quei due asini per
recarsi allo stabilimento.
Arrivati
dinanzi al cancello, pagarono Antonio e scesero. Quella ginnastica asinaria dava
il mal di mare a Lena. Furono allora circondati da una folla di mendicanti, di
postulanti, di mercanti, di curiosi, da una mob
malsana, direbbero gli Inglesi.
-
Eccellenza, volete degli asini? domandava un altro asinaio a don Gabriele. Un
milord come vostra eccellenza non può cavalcare che una gazzella come la mia.
Lasciate codesta etica carogna di Antonio, che s'inginocchia ad ogni cinque
passi, e porta la testa bassa come un seminarista. Vi darò un animale degno
d'essere bipede come vostra eccellenza.
-
Fátti via di là, rispondeva Antonio punto nell'onore del suo somaro; il tuo
struzzo ha più guidaleschi alla schiena, che un confessore non ha
peccati nelle orecchie.
-
Eccellenza, guardatevi bene da quell'uomo, egli ha la rogna.
-
Vostra eccellenza, vuol ella accettare un rasoio per la barba? diceva un
mercante a Lena; è dei più perfetti inglesi, fabbricati a Campobasso.
-
Eccellenza, diceva un altro a don Gabriele, ecco della Wagram, della fabbrica di
Piedimonte a Manchester. Ve la vendo a prova di limone. Me la pagherete quando
l'avrete adoperata! Non vi chiedo che un acconto di sette lire al metro, per
ricordo dell'onore di avervi servito.
-
Freschi, freschi! gridava una donna dalla faccia e dalla persona orribilmente
sudice; vengono fuori or ora dal forno, i biscottini. Vedete, sentite, ci ho
messo del finocchio. Andiamo, zio canonico, prendete il mio taralluccio.
Vostra reverenza ne sarà contenta.
-
Cose belle a leggere, urlava un libraio che aveva spalancato qualche dozzina di
volumi sopra una tavola. Tutta roba venuta a luce mo' mo', ed a che prezzo
ancora! Ecco un romanzo per le signorine: Trattato
delle ipoteche del signor Pothier. Ecco un libro per vostra reverenza,
signor canonico, un trattato sull'indigestione, e l'Uomo dai tre calzoni, compendio di teologia morale del professore
della Sorbonne, signor Paolo di Kock. Volete un libro d'educazione per le vostre
figliuole, signor sindaco? Eccovi Lelia,
Spiridione del signor Giorgio Sand, professore d'etica al collegio di
Francia. Il signor abate può terminare le sue devozioni nelle Novelle
dell'abate Casti - abate casto se ve ne fu mai! E poi, libri ancora più
nuovi, arrivati la settimana scorsa da Liverpool e da Marsiglia: Le Favole d'Esopo,
l'Eneide
travestita, il Cuoco milanese, l'Almanacco dell'anno scorso... Ma leggete dunque! leggete!
-
Ecco degli occhiali per la vista del signor sindaco. Vengono dalla Baviera,
signore: gli è Sacco che li ha fabbricati.
-
Signora sindachessa, eccole dei cavastivali.
-
Volete dei numeri sicuri per il lotto? susurrava misteriosamente un bietolone a
don Gabriele.
-
Signor giudice, prenda questo anello che ho rubato; glielo lascio a buon prezzo.
-
Signora milady, ecco uno specifico contro le pulci, diceva un altro a Lena.
I
nostri viaggiatori non ascoltarono il resto: avevano varcata la porta dello
stabilimento.
La
folla non era meno grande dentro che fuori. Si udiva dire da ogni punto:
-
Buon giorno, compare. Hai bevuto?
-
Quindici bicchieri, e tu?
-
Ah! madama, diceva il vescovo di Policastro a Lena, che si era avvicinata ad una
vasca; bisogna convenirne, la natura è prodigiosa. Metter tanti gusti
differenti in una sola spaccatura... d'acque!
Infatti,
dall'istessa fessura della roccia, appiedi della montagna, sgorgano cinque sorta
differenti di acque minerali.
-
Dio è grande, monsignore, rispose Lena.
-
Principalmente nella varietà delle acque e nell'immensa quantità delle bestie!
soggiunse don Gabriele.
-
Ho sempre abbisognato di lassativi, io, signora, confidava il sindaco di Aratusa
a Lena, mischiandosi alla conversazione ed al capannello che si formava intorno
a Lena ed al vescovo. Mia moglie perdeva la pazienza, le mie figlie
brontolavano, ed ecco che quest'acqua...
- Siete cattolica, milady? chiese il vescovo.
-
Credo, almeno...
-
To'! avrei giurato che foste romana, milady, osservò il sindaco. Quella
statura... e poi parlate il napoletano a perfezione... Fareste arrossire mio
nipote, che studia da sette anni il latino e l'italiano al seminario. E' dice
che io sono un imbecille: e gli altri lo ripetono. E bisogna che ci sia qualcosa
di così, poiché son tutti del medesimo parere. Malgrado ciò, senza
matematiche e senza lingua italiana, ho raggruzzolato una fortuna di 30,000
ducati. Ora, ella mi capisce, monsignore?
-
Parola per parola.
-
Anche l'intendente mi capisce, quantunque non faccia mai quello che io gli dico,
e che io sia obbligato a fare ciò che egli ordina. Ma chi comanda è sempre a
tre quarti sordo; la è vecchia. Non è vero, monsignore?
-
Voi avete delle opinioni democratiche, signor sindaco, fate attenzione.
-
Ah! ah! non sente nessun moto nel suo ventre, monsignore? Col permesso delle
loro signorie... se posso esser utile in qualche cosa... Don Michele Cupola,
sindaco d'Aratusa. Vengano ad Aratusa... Col loro permesso.
Lena
e don Gabriele andarono a passeggiare nel giardino; ma vi erano a percorrere
tante giravolte, montando e discendendo, che Lena s'appigliò al partito di
sedere sulla terrazza, vicino ad un arciprete che recitava le sue ore.
-
Ad te, Domine, clamavi... Che caldo, signora! Non ho mai sudato
tanto in vita mia, neppure quando concorsi per essere arciprete. Un concorso
famoso, signora... Monsignore ne restò stupito... Ad te, Domine, clamavi... Come vi chiamate, signora? Di che paese siete? Vorrei solamente sapere se nel vostro paese incontraste mai mio
nipote. Ad te, Domine, clamavi... Non
lo credereste, signora? egli è andato a Londra per pagare una ghinea un piatto
di maccheroni, e vedere come i cani strozzano i topi, e come si beccano fra loro
i galli, per la conquista d'una gallina. Noi vediamo ogni giorno tutto ciò
nelle nostre strade. Ad
te, Domine, clamavi...
-
L'è un uomo prodigioso, vostro nipote, signor arciprete, osservò don Gabriele,
che studiava i tipi ed i caratteri pel suo teatro.
-
Ad te, Domine, clamavi... prodigioso!
A chi lo dite? s'imbacucca il tabarro l'estate, ho veduto ciò a Saragozza - e porta calzoni di tela l'inverno. Ha la rabbia di comprar roba vecchia.
Corre dietro a tutto ciò che è archeologico, perfino le donne! Ad
te, Domine, clamavi... Non parla che di Parigi. Credo che quel paese ha
inventate la luna e le anime del purgatorio... Vorrebbe fare un Parigi del
nostro borgo. Ad te, Domine, clamavi...
Clamavi... Clamavi... L'è arrivato. Col vostro permesso, signora, sono
obbligato di assentarmi... Gloria in
excelsis.
L'ora
di andar a trovare il marchese essendo giunta, i nostri viaggiatori uscirono
dallo stabilimento, e ripresero gli asini per ascendere ad uno dei poggi della
montagna, ove il casino del principe di Caserta era situato.
Questa
montagna è molto pittoresca, coperta di una bella vegetazione, e presenta una
superba varietà di paesaggi, a misura che la strada tagliata su' suoi spaldi,
guarda la campagna - ove si rizza il Vesuvio, e si vedono le città di
Nocera, di Lettere, di Gragnano - e il mare con i suoi flutti indago, ove si
cullano in mezzo ai vapori violetti Capri, Nisida, Ischia, la punta di Sorrento
e di Massa e il fondo di Napoli che appare come una candida striscia.
Tutto ciò sembra un sogno a traverso quel velo leggero di molecole dorate che
nuotano nell'aria, prodotte dal calore, attratte dalla luce. Lena ed il suo
compagno, malgrado la loro ansietà al momento di raggiungere il loro destino,
non poterono restar insensibili ad uno spettacolo così vago.
Un
lungo e tortuoso viale a diversi piani, chiuso da un cancello sulla strada,
precedeva la casa. Una vettura attendeva alla porta.
-
Giuro a Dio! disse don Gabriele, mi pare di conoscere quel cocchiere. Sarebbe
curiosa... Aspettatemi qui...
Scese
dall'asino, fece fermare Lena a un tiro di fucile dal castello, e si avanzò
verso il cocchiere. Dopo pochi minuti di conversazione, don Gabriele ritornò,
fece scendere Lena, pagò e rimandò gli asinai. Poi si avanzarono verso la
vettura, varcarono la porta, e principiarono a montare su pel viale.
In
una piazzuola che precedeva la casa, un'altra vettura, ma non da nolo questa,
aspettava dietro un boschetto di acacie. Rimpetto alla casa si alzava un kiosque
di caprifogli, bossi e mirti. La porta della casa era aperta, ed una vecchia
spezzava qualche granello di sabbia che gli stivali dei visitatori avevano
lasciati sul lastrico.
-
Fermiamoci all'ombre di questi alberi, disse don Gabriele. Quando uscirà, voi
salirete dal marchese, io vi aspetterò qui. Egli ci aspetterà nella vettura,
secondo le istruzioni che ho date al cocchiere, e tutti insieme partiremo per
Napoli allegramente.
Don
Gabriele finiva appena di parlare, che l'esplosione di due colpi di pistola
nella casa li fecero trasalire. Si avanzarono verso la porta. Un uomo senza cappello, che gridava all'assassino! stramazzò per terra la vecchia in
passando, varcò la porta e la gradinata in un balzo, e passò dinanzi a loro
come un camoscio.
-
Bruto! sclamarono ad una voce Lena e don Gabriele, la prima sollevando il suo
velo, l'altro sbarazzandosi di un rovescio degli occhiali e della parucca.
Bruto
li riconobbe, e senza dire una parola li trascinò seco nella sua corsa a volo
di allodola.
-
A Napoli, ordinò don Gabriele al cocchiere, e ventre a terra fino alla Torre.
(Da: F. PETRUCCELLI DELLA GATTINA, Il sorbetto della regina, III ed., Milano, F.lli Treves, 1881, pp. 195-204. Per il commento, l'inquadramento e i riferimenti bibliografici relativi ai passi riportati, cfr., tra gli Studi della sez. Letteratura e Territorio, G. CENTONZE, La Castellammare di Ferdinando Petruccelli della Gattina)
(Fine)
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