RENATO FUCINI
Napoli a occhio nudo
(1877)
*
LETTERA
III
[...]
Arrivammo
a Castellammare, la patria dei più arditi navigatori di queste coste, del
superbo Duilio e dei più abili costruttori navali d'Italia. è questa città un pezzo di Napoli portato in quella cala e
nulla più, ma le montagne che le stanno a ridosso e il panorama del Golfo che
si gode di là, è stupendo. Conservo uno spiacevole ricordo di quell'arrivo.
Appena che fummo scesi dal treno ed assaltati da uno sciame di ciceroni, ciucai,
vetturini, accattoni et coetera animalia, m'accorsi di non aver più
addosso il portafogli. Non volevo mettere gli amici a parte del mio disturbo, ma
non avendo potuto nasconder loro l'imbarazzo nel quale mi trovavo e
l'alterazione della mia faccia, mi domandarono con premura che cosa avessi. - Mi
hanno rubato il portafogli! - Ma come! ma dove? ma quando? - Ora, ora nel
momento; due minuti fa l'ho tirato fuori per dare qualche cosa a quel vecchio...
- E ci avevi molto? - Ci avevo tutto. - Ma ti sei cercato bene addosso? - Ho
frugato da per tutto e non l'ho più. Guardate: qui, niente; qua nemmeno... non
l'ho, non l'ho più assolutamente. Addio, amici; proseguite pure per Sorrento;
io torno indietro; divertitevi e compatitemi se... - Uno scoppio di risa sonore
interruppe le mie parole d'addio. Domandai alquanto indispettito il perché di
quel riso e mi risposero con una risata più grossa della prima. E perché
quelle risa così crudelmente inopportune? Il portafogli che cercavo con tanto
affanno l'avevo in mano.
Dileguata
la breve ma rabbiosa tempesta, mi scusai ad alta voce con gli amici d'aver loro
procurato quel disturbo, e nell'animo mio chiesi scusa anche ai ciucai,
vetturini, ciceroni e accattoni castellammaresi, dei gravi dubbi che per dieci
minuti avevo avuto su la loro onestà, e proseguii il cammino lungo la marina
tutto umiliato, parendomi di scorgere in ogni occhio languido che mi fissava, il
dolce rimprovero di Cristo a Pietro: amice, quare dubitasti? Per questa
volta avevo avuto torto.
La
giornata non era riuscita degna della fama di questo cielo, ma considerato che
la monotonia finisce con lo stancare, anche se del genere migliore, non ci
dispiacque punto che certi bianchi farfalloni di nebbia, volando celeri per
l'aria come cigni giganteschi, ci riparassero, di quando in quando, dalle
carezze un po' troppo calde d'un sole, che mezz'ora fa aveva arrostito le palme
di Siria; ma altri nuvoli un po' troppo compatti e forse troppo terrestri, ci
facevan pagar caro il benefizio di quelli aerei.
Il
nuvolo dei parassiti ambulanti che ci ronzavano d'intorno, pigolando
vigliaccamente l'eterno soldo, era anche troppo nauseante; e siccome tra questi
brillava molestissimamente l'ottava piaga del genere umano, voglio dire un
vetturino che non si chetava mai, mai alla lettera, di offrirci i suoi disinteressati
servigi, e che ci avrebbe seguiti indubitatamente fino a Sorrento, invitandoci
nella sua vettura, se ci fosse piaciuto di far la gita a piedi, ci insaccammo
finalmente nella sua carrozza che, del resto, era comoda e bella, e ci mettemmo
in cammino per la desiderata Sorrento.
Attraversato
rapidamente il breve piano della marina di Castellammare, incomincia subito lo
stupendo tratto di strada incassato fra dirupate scogliere. Questa via per me è
quella che contribuisce essenzialmente alla grandissima e giustificata fama
delle bellezze di Sorrento [...]. Il Sorrento dei poeti non è Sorrento, ma la
strada che conduce a Sorrento.
E questa strada è meravigliosa.
(Da: R. FUCINI, Napoli a occhio nudo, V ed., Firenze, Bemporad, 1930, pp. 54-56. Per il commento, l'inquadramento e i riferimenti bibliografici relativi ai passi riportati, cfr., tra gli Studi della sez. Letteratura e Territorio, G. CENTONZE, Con Fucini da Castellammare a Sorrento)
(Fine)
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