GIUSEPPE CENTONZE
Vanvitelli e Castellammare
(1987)
Luigi Vanvitelli si trasferì a Napoli nel 1751, richiesto a Papa Benedetto XIV da Carlo III di Borbone per costruire, come è noto, la reggia di Caserta. Il re, che desiderava una residenza più sicura, più moderna e nel contempo imponente, sul modello di Versailles, si era rivolto all'architetto della Fabbrica di San Pietro, già noto per importanti costruzioni, quali il Lazzaretto e la Chiesa del Gesù ad Ancona e il Convento degli Olivetani a Perugia, e per la sua esperienza in vari e diversi campi dell'architettura e dell'ingegneria. Il cinquantunenne architetto possedeva, inoltre, una chiara padronanza delle tecniche del disegno e della pittura, che fin da ragazzo aveva esercitato (il padre, Gaspard Van Wittel, era stato un raffinatissimo vedutista olandese), e una non comune cultura specifica, formata per aver assimilato la lezione dei classici e dei classicisti, oltre che l'esperienza barocca e il gusto scenografico settecentesco di Filippo Juvara e dei Bibiena, e rivelata attraverso uno stile tanto più personale quanto più eclettico, nel quale già, forse, si intravvedevano la purezza razionalistica tipica dell'illuminismo e l'anticipazione del nascente neoclassicismo.
Il Vanvitelli seppe sùbito approfittare della grande occasione offertagli. A Napoli si dedicò con passione, fino alla morte avvenuta nel 1773, alla importante realizzazione, lieto della stima di Carlo e di Maria Amalia. Non trascurò, tuttavia, quando gli era consentito, altri importanti lavori nel Regno e fuori del Regno.
Esistono moltissimi autografi, tra lettere e disegni, che documentano, si può dire momento per momento, la sua attività di architetto e le sue incombenze quotidiane, i suoi rapporti con la corte e quelli con i familiari, inoltre i suoi malanni e i suoi umori, le sue ansie e le sue idee. Purtroppo non tutti sono pubblicati; inoltre essi sono divisi tra vari archivi, biblioteche e collezioni.
Sui disegni del periodo napoletano esiste, tuttavia, un importantissimo catalogo curato da Jörg Garms per una delle tre mostre tenute a Napoli in occasione del centenario della morte.1
Delle carte e dei documenti del periodo napoletano in genere, sparsi tra l'Archivio di Stato di Napoli, la Biblioteca Nazionale di Napoli,2 l'Archivio del Banco di Napoli 3 e la Biblioteca Palatina di Caserta,4 non esiste una raccolta completa che pur sarebbe importante. Per fortuna, tuttavia, le lettere della Biblioteca Palatina di Caserta, che costituiscono il nucleo più rilevante di tutto il carteggio e che risultano assai utili per capire l'artista e l'uomo, sono tutte pubblicate. Sono 1431 e sono indirizzate al fratello Don Urbano, abate della Chiesa Nazionale di San Giovanni dei Fiorentini in Roma, al quale il Vanvitelli partecipa tutte le sue esperienze di arte e di vita dal 1751 al 1768, anno in cui Don Urbano si trasferisce a Napoli. In uno stile immediato, asciutto, spontaneo, mai compiaciuto, eppure coinvolgente, queste lettere, certo non destinate alla pubblicazione, contengono notizie di vario genere, come si è detto, anche di carattere politico e sociale, anche di vita quotidiana, che non sempre ci sarebbero arrivate per altra via e che, pur se spesso non di prima mano, possono essere accettate come veritiere e fededegne, considerati i rapporti del Vanvitelli con la corte e con il Tanucci, dal quale anzi vengono spesso confermate, quando è possibile il confronto.5
Soprattutto in questo voluminoso epistolario al fratello Urbano si ricavano alcune interessanti notizie relative a Castellammare di Stabia.
La prima di esse, forse anche la più rilevante, riguarda una realizzazione del nostro architetto presso la Chiesa di S. Maria di Pozzano ed è contenuta nella lettera 253 (Napoli, 24 sett. 1754), nella quale, di sera ("l'ora è tarda"), egli manifesta tutta la sua gioia per aver trascorso una bella giornata nel "sito... stupendo" stabiese per "servire" i Padri Minimi, che l'hanno ospitato offrendogli a pranzo del "buon pesce":
Oggi sono stato a Castellammare per servire li Padri di S. Francesco di Paola, ove ho mangiato del buon pesce, ed il sito è stupendo di bellezza.
Il Vanvitelli proviene da un periodo di grande amarezza, perché Benedetto XIV ha affidato all'architetto Carlo Marchionni l'incarico del porto di Ancona e perché si è trovato al centro di beghe e di colpi mancini. E' pur vero che il lavoro nel Regno non gli manca e che il re e la regina hanno chiaramente apprezzato la sua Dichiarazione dei disegni del Reale Palazzo di Caserta; ad ogni modo Castellammare ha contribuito certamente a rasserenarlo, tanto che di séguito egli aggiunge:
Ringrazio sempre più, o Signore Dio, che mi ritrovo in Napoli e che io ho una onorificenza, benché anche questi forfanti l'ànno ancora che diranno: Vanvitelli è fuori. Ma guardandovi seriamente dentro, ancora che io fossi stato in mezzo piazza Colonna e nel Palazzo Pontificio istesso, tanto e tanto sarebbe stato tutt'uno ed io averei avuto per compimento di opera lo stesso, e sarebbe stato sfregio da darmi sommo disgusto.
A parte il giudizio sul "sito" che "è stupendo di bellezza", ai nostri fini l'importanza della lettera consiste soprattutto nella asserzione del Vanvitelli di essere stato a Castellammare "per servire" i Padri Minimi della Chiesa di S. Maria di Pozzano; viene infatti così confermata l'opera da lui prestata in quella chiesa per la realizzazione della sagrestia, della quale opera si ha anche lo studio, un disegno a penna e matita acquerellato a seppia, di mm. 335 x 422, segnato in basso a destra "Sagrestia dei PP. Minimi a Castel'amare".6
Che si tratti di opera di non poco conto, ce lo indica la descrizione fattane da Arnaldo Venditti: "Vanvitelli prestò la sua opera per i Padri Minimi anche costà [sc. a Castellammare], disegnando una sacrestia di notevoli qualità espressive, rimasta sinora del tutto inedita: seguendo l'esempio di Palladio nel refettorio di S. Giorgio Maggiore, a Venezia, Vanvitelli - di fronte al semplice vano rettangolare - ne qualifica la copertura riportandola in tre zone distinte, ossia impostando, al centro dello spazio, una scodella tra due tratti voltati a botte: in tal modo egli può disegnare due finestre simmetriche nelle lunette corrispondenti lateralmente alla calottina, aprendone una soltanto per porre nelle migliori condizioni di luce l'affresco di Giacinto Diano (firmato e datato 1769). Sempre nella volta, tipici accenti vanvitelliani presentano le cornici a voluta che serrano le finte lunette sulle testate della volta a botte. Il maestro intende richiamare immediatamente l'attenzione dell'osservatore verso l'alto, poiché è nella volta che si determina il carattere dell'edificio: sì che, sulle pareti, per contrastare le ricorrenze orizzontali degli armadi lignei e dei sovrapposti dipinti, disegna paraste in corrispondenza dei passaggi tra le volte diverse, replicando i piedritti verticali sugli spigoli dell'aula, ove la saldatura ha il valore di una convessità, adottata, invece, più esplicitamente, nella perduta sagrestia di S. Luigi di Palazzo".7
Si pensi che gli ovali nella cornice delle porte, vuoi come "elementi di gusto barocco" che "permangono" nella piccola sagrestia che "rivela nell'impianto un più asciutto uso degli ordini architettonici",8 vuoi come elementi cui Vanvitelli "fa talvolta prevalente ricorso..., quando una parete non consente una regolare scansione: così all'ingresso della sacristia di S. Agostino a Roma e all'interno di quella dei padri Minimi, a Castellammare di Stabia",9 hanno ancora di più consentito a Roberto Pane di attribuire al Vanvitelli la cappella che affaccia all'interno del portale d'ingresso di Rocca Priora, in provincia di Roma: "... con un ovale che richiama la sacrestia dei padri Minimi di Castellammare di Stabia".10 E l'attribuzione del Pane è giusta per Mario Rotili, perché "la squisita piccola chiesa interna... ha tutte le caratteristiche dell'architettura vanvitelliana. Di essa presenta, inoltre, anche qualche significativo richiamo particolare, come... nell'interno l'elegantissimo ovale tra i binati di colonne che vedremo nella sacrestia dei Padri Minimi di Castellammare di Stabia".11
Si sa poi che il Vanvitelli farà eseguire, per la stessa sagrestia, al vecchio pittore Sebastiano Conca (1679-1764) tre tele sull'Invenzione del Crocifisso,12 mentre l'affresco sulla Gloria di S. Francesco di Paola sarà opera di Giacinto Diano.
Eppure, di quest'opera cosi interessante e significativa la città si era del tutto dimenticata!
Nelle lettere successive, per ben nove anni, il Vanvitelli non fa parola di Castellammare al fratello Urbano. Un riferimento, se non proprio alla città, alla "breccia", che è pietra da decorazione, estratta a Castellammare, lo si trova, invece, in due carte conservate alla Biblioteca Nazionale di Napoli.13 Nella prima di esse (c. 19), che è la minuta di una lettera incompleta non firmata e non datata, il Vanvitelli scrive della breccia estratta a Castellammare come "porosa e sbucata, onde non se ne puol fare uso vantaggioso". Nella seconda (c. 31), minuta di lettera al Tanucci scritta in Napoli l'8 settembre 1759, egli appare di diverso avviso, in quanto afferma che la breccia che si estrae dalle radici dei Monti Lattari a Castellammare potrebbe essere utilizzata per stipiti, zoccoli e balaustri "essendo di colore vario tendente al' scuro" come quella di Spagna. La contraddizione sarà da sanare, probabilmente, posponendo come successiva nel tempo la non datata c. 19, nella quale il Vanvitelli accerterebbe, per essersene reso conto direttamente, di non poter fare uso vantaggioso di quella stessa breccia che nella lettera dell'8 settembre 1759 (c. 31) aveva ritenuto, in via di ipotesi, di poter utilizzare come materiale da decorazione. Ad ogni modo è di rilievo anche la sola notizia dell'esistenza, a metà Settecento, di cave di breccia a Castellammare.
Ma torniamo alle lettere al fratello Urbano, nelle quali tra il 1763 ed il 1766 i riferimenti a Castellammare si fanno più frequenti, seppure non in relazione all'attività professionale del Vanvitelli. E tuttavia si ricavano ugualmente notizie, per vari motivi, interessanti.
Nell'estate del '63 il Vanvitelli è colpito molto gravemente da una gastroenterite acuta febbrile, che lo trattiene nella sua casa, per più di un mese, lontano dal lavoro, tra grossi fastidi e dolori, indebolito fino a temere la morte. Il decorso della malattia e i sintomi sono descritti con precisione soprattutto nella lettera 1075 (Napoli, 19 lug. 1763), da cui ricaviamo notizie anche sulle cure (la china contro la febbre, acqua fredda ed agro di limone per attenuare la diarrea), e nella lettera 1078 (Napoli, 30 luglio 1763), nella quale parla di un altro rimedio, chissà quanto efficace: "Li lavativi di latte spessi mi dànno conforto, ma questa è pioggia sul bagnato per maggiormente debilitarmi".
Nella lettera successiva, la 1079 (Napoli, 2 ag. 1763), parla di un'altra cura da cui spera finalmente - ma ancòra infondatamente - sollievo, quella dell'acqua minerale di Castellammare:
Prosegue la diarrea di materie velenose, ma non meno queste che lo stimolo dei premiti è molto cessato. Spero che l'acqua di Castel' a mare che prendo mi debba restituire la salute, con una lavanda interna generale. La debolezza nella quale ritrovomi è oltremodo grandissima, ed a stento vi scrivo queste due righe.14
Dalle lettere successive apprendiamo che la malattia persisterà per qualche settimana, che ad essa si aggiungeranno i reumatismi e che tuttavia egli potrà gradualmente rimettersi in salute e riprendere il lavoro grazie, probabilmente, alla rigida dieta indicata nella lettera 1081 (Napoli, 9 ag. 1763): "Si sta con due ova sparse sopra una fettolina di pane la mattina, e la sera, col segno della Croce, con delli bicchieri d'acqua nevata ed agro di limone". Poscia, più che l'acqua, poté 'l digiuno?
Gli inizi del 1764 si rivelano drammatici nel Regno per "la minaccia di una carestia di grano, la quale potrebbe produrre molto sconvolgimento del popolo", come si legge nella lettera 1117 del 21 gennaio di quell'anno. A Castellammare e nei suoi dintorni, così come in altre località dell'opposto versante dei Lattari, si aggiungono nuove calamità, come il Vanvitelli riferisce in apertura della successiva lettera 1118 (Napoli, 24 genn. 1764):
Qua piove continuamente, e sono accadute disgrazie grandissime; già vi scrissi nella passata di un turbine che unito alle acque à distrutto una terra, vicino Castel' a Mare; altre ve ne sono nel Golfo di Salerno, con mortalità grandi. Dicono che Maiori e Minori, terre grosse di quel Golfo, siano state rovinate assai; il caso fu di notte, onde pochi si sono salvati, ma sentiremo il di più in appresso.
Purtroppo la precedente lettera cui il Vanvitelli fa riferimento non è compresa nel carteggio. Altre notizie si ricavano da una lettera che, nello stesso 24 gennaio, Bernardo Tanucci invia a Carlo III: "Rovine lacrimevoli... un'insolita pioggia caduta nella montagna tra Gragnano e Castellammare ha portato alle campagne... e alle stesse città con portarsi case, chiese, territori intieri, non che alberi e sassi. Uomini periti se ne contono molti".15 L'alluvione avvenne la notte del 19 gennaio, festa di S. Catello. Una memoria dell'archivio capitolare a Castellammare, che trovo riportata in parte da G. Lauro Aiello,16 è ricca di particolari: "Turatosi il rivo della Caperrina, presso la chiesa del Gesù, con le suddette robe trasportatevi dalle acque, si aprirono queste nuove vie per i giardini e per le case dirimpetto alla chiesa, diroccando botteghe e stanze in piano, da presso la chiesa di San Bartolomeo, sino al Quartuccio e nella parte inferiore del Campo di Mola, lasciando da per tutto immensa copia di pietre e di frantumi di legname delle spiantate selve". Nella stessa "è attribuita alla protezione del nostro San Catello il non esservi perito alcuno degli abitanti", mentre molti erano morti nei paesi vicini.
Il Vanvitelli ritorna sull'episodio nella lettera 1119 (Napoli, 28 genn. 1764):
Il male fatto dall'acqua nelle sole vicinanze di Castel'a mare consiste a più di 200 mila ducati; ad uno benestante di quel luogo gli à portato via e distrutto l'entrata di sopra duemila ducati. Molti inglesi sono andati sul loco per curiosità a vedere l'eccidio. Non è stato il male al Cilento, come mi fu detto, ma a Minori, Maiori, nel golfo di Salerno, a Nocera ed a Gragnano vicino Castell'a mare. Si dubita che la solita Cuccagna possa essere sospesa, acciò il popolaccio non si aduni e faccia disordine nelle presenti circostanze.17
Altri particolari sconcertanti nella successiva lettera 1120 (Napoli, 1 febb. 1764):
Cento cinquanta sono stati fin'ad ora i cadaveri ritrovati nella rovina fatta dalle acque presso Castell'a mare, la di cui porta è stata chiusa dalla terra condotta dalla lava con alberi, etc. Qual'infortunio, se pochi passi dippiù s'immergeva, rovinava anche Castell'a mare.
E, sùbito dopo, le solite notizie sulla carestia, su un tumulto a Torre del Greco, sui timori da scongiurare di una qualche rivoluzione del "popolaccio".
Tra queste gravi preoccupazioni trovano posto altre di minor peso, quali il dover procurare degli aranci amari per il giardino del cardinale Prospero Colonna di Sciarra a Roma, piante che il Vanvitelli intende reperire anche a Castellammare, come si legge nella medesima lettera 1120:
Mi scrive il Signore Cardinale Sciarra che desidera co' suoi denari 60 piante, come un testone, di merangoli forti, e mi ringrazia delle piante che gli ò mandate. Ho mandato a chiamare un giardiniere, che fa negozio di queste, il quale mi à sconcluso la possibilità fin'all'anno che viene; ne aspetto un'altro da Castell'a mare, e procurarò anche altro, ma dubito che si possa eseguire. Dopo che averò prese le informazioni risponderò al Signore Cardinale. Vorrei si trovassero, ma le piante le pagherò io, sol tanto il nolo lasciarei per esso.
Che queste piccole incombenze gli richiedano tempo e disponibilità si evince anche dai riferimenti contenuti nelle lettere seguenti. Si legge nella lettera 1122 (Napoli, 4 febb. 1764):
Ancora non ò potuto ritrovare le piante richiestemi dal Cardinale Sciarra, ed aspetto un'altra risposta domani.
E nella lettera 1123 (Napoli, 7 febb. 1764):
Ancora non ò potuto ritrovare che 20 piante, fra Puzzolo, Castell'a mare e contorni; vederemo come si farà per il resto. Qua è fuora di stagione; in una voce tutti dicono così, onde conviene credergli.
E nella lettera 1124 (Napoli, 11 febb. 1764):
Dopo avere ricercato il ricercabile in questi contorni, sole 38 piante ò potute ritrovare per il Signore Cardinale, e le ho fatte sotterrare nel giardino, acciò non patischino. La feluca doveva partire ieri, secondo disse, ma questa gente non dice mai il vero, onde starò attendendo, finché Dio vorrà, al loro comodo. Chi sa quante piante saranno perdute di quelle che mandai, e quante se ne perderanno di queste che mandar si devono!18
Intanto "la carestia qua si avvicina; nello Stato si more di fame, e corrono in Napoli per ritrovare quel grano che non vi è. Iddio ci preservi da qualche grande inconveniente!". Così il preoccupatissimo Vanvitelli nella medesima lettera 1124, che contiene notizie su assalti alle barche che portano grano a Napoli. Incominciano i saccheggi anche a Napoli (cfr. lett. 1125 del 12 febb.), come in altre città (cfr. lett. 1128 del 25 febb.).
Scrive il Tanucci a Carlo III il 28 febbraio: "Il Regno tutto languisce nella penuria; continue son le querele che ci assediano, continue le sollevazioni or di quella, or dell'altra università. Ogni popolazione sta al passo per attrappar li grani che passino o per Napoli, o per altri paesi del Regno. Nei porti e nelle scale avvengono le medesime violenze, e in Messina un'altra ne è stata commessa di grani destinati all'annona di Firenze... un altro arresto... di bastimento destinato a Livorno con carico di farine, orzo e fave è stato fatto in Castellammare".19
Non so se proprio a questo episodio di Castellammare, o ad altro simile, intenda riferirsi uno dei lazzari 'in preghiera' davanti alle reliquie di S. Gennaro,20 quando afferma che S. Catello ha provveduto alla sua città mandandole una nave di grano, secondo quanto si legge nella lettera 1134 (Napoli, 17 marzo 1764):
In tanto gli Oremus, che si dicono da' lazari avanti la testa di S. Gennaro esposta col sangue, sono cose che dimostrano la gran fede, ed insieme la massima ignoranza. Vi fu uno che disse: Santo Jennaro, e che facimmo? Napole tuio more de fame. Altro replicò: Santo Jennaro non ce bo mette mano, averia da fa troppo pe' scippà lo malo Govierno. Altro: Santo Jennaro, facimmo no po li cunte nuoste, e te pare da lascia morì de famme le mogliere e li figli, qua ad voli che arrivavano al Cielo [qua... Cielo sarà da leggersi, non in corsivo, "qua con voli che arrivavano al Cielo"?], dance lo pane, dance lo pane. Ed in tanto si strappavano le donne i loro capelli, si davano gli uomini de pugni in petto, schiaffi sul viso ed altre espressioni, che fanno pietà ed insieme ridere. D. Girolamo Starace mi à raccontato essersi esso ritrovato nella Cattedrale, quando si urlava all'eccesso dall'infinito popolo lazaresco d'ogni genere. Si levò in piedi un lazzarone, e con voce magnifica disse a tutti: Zitto, zitto, ca boglio dicere io. Santo Jennaro, guappone nuosto, tu non ce boi fa la grazia de darece lo grano. Te sei fatto piglia de mano da no settepanelle in faccia a tene, che sii no guappo. Santo Catiello, Santo Vescovo martire e padrone del loco, à proveduto Castell'a mare, che cà mannato na nave de grano, e in faccia a tene, che sii no guappone, Santo Catiello è chiù da sotto de no settepanelle. Mannece provedenza a nui, che simmo lo popolo de Napole, guappone, guappone mannancello lo grano, dance lo grano. E tutti, con voli fin'alle stelle, incominciarono a gridare: Dance lo grano, dance lo grano che ànno mannato fora regno, etc.21
Se così fosse e non ci si riferisse a un qualche evento prodigioso tale da essere attribuito al favore di S. Catello, allora il racconto si caricherebbe di ulteriori significati e comunque rivelerebbe la tragica condizione di fame del popolo che al suo Santo protettore chiederebbe nientemeno la nave da assaltare; ad ogni modo i risvolti napoletani dell'episodio della nave di grano a Castellammare sono certamente avvincenti, tanto più che il momento di humour, di divertita curiosità che nasce intorno al fatto di cronaca, determina una pausa nel clima tesissimo che si respirava allora a Napoli e che pervade anche le lettere vanvitelliane del '64. Sùbito dopo il racconto ridiventerà serio e non tralascerà i successivi avvenimenti, i provvedimenti del Tanucci, le ruberie e gli accattonaggi, etc., fino al difficile ritorno alla normalità.
Tra le lettere del '65, l'unica che contenga un riferimento a Castellammare è la 1197 (Napoli, 9 lug.), nella quale il Vanvitelli dice di curarsi ancora una volta con le acque minerali di questa città:
Ho letto il parere del Sintes, a cui non scrivo perché non ho tempo e sono debole di testa, perché passo l'acqua di Castell'a mare, per cui poco posso applicare.22
E probabilmente il male da curare con le acque è la flussione, cosi chiamata perché si riteneva generata da un flusso di umori in una parte del corpo, come si ricava dalla lettera 1196 (Napoli, 6 lug.): "Io sto in casa per la flussione, la quale da me troppo presto strapazzata mi à fatto risalto; per altro sto meglio, ma non posso uscire di casa".23
L'anno successivo, per la terza estate consecutiva, Vanvitelli 'passa l'acqua' di Castellammare. Nella lettera 1266 (Napoli, 5 lug. 1766) egli rivela la sua fiducia in questa cura che afferma giovargli per i suoi "incomodi" (gli stessi dell'anno precedente?), offrendo così una illustre testimonianza sulla efficacia delle acque minerali di Castellammare:
Ieri fece freddo grande fuori stagione; io sto passando l'acqua di Castell'a Mare, la quale mi giova, per li miei incomodi.
Altre due lettere del '66, la 1273 e la 1274, riferiscono su una nave spagnola costruita a Castellammare; e la notizia è interessante per la storia dei cantieri navali della città prima della fondazione del cantiere borbonico.
In verità nella lettera 1271 (Napoli, 22 lug. 1766) il Vanvitelli ha riportato l'episodio in questi termini:
Qua sono venute tre galeotte spagnole, per prendere la quarta fabricata a Sorrento; ànno portato seco tutto l'equipaggio. Nel venire in Italia s'incontrarono con uno sciabecco turco di otto cannoni; lo combatterono e fecero la preda, con perdita di otto uomini e nessun'officiale. Quando il Re andò al foco del Carmine, queste tre galeotte si posero in parata con le numerose bandiere, e fecero tre scariche generali di artiglieria.
Probabilmente egli si è sbagliato nel fare il nome di Sorrento come luogo di fabbrica della quarta galeotta, o ha riportato la notizia come in un primo momento ed erroneamente gli è stata riferita; o forse si è sbagliato nella trascrizione il curatore del carteggio, visto che nel commento che precede la lettera questi parla di Castellammare e non di Sorrento.
Le due lettere 1273 e 1274, che non possono non riferirsi allo stesso episodio, parlano chiaramente di Castellammare. Nella prima (Napoli, 29 lug. 1766) si legge:
Qua sono tre galeotte spagnole, che sono venute a prendere la quarta, che si è fabricata a Castell'a mare, avendo quella che avevano già quarta perduta in un combattimento co' Turchi africani. Queste fanno la novena della morte della Regina Madre; sparano ogni ora un tiro di cannone, fra tutte e tre, giorno e notte.
Nella seconda (Napoli, 1 ag. 1766):
Si è armata la 4a galeotta spagnola, fabricata in Castell'a mare, e domani notte di conserva se ne ritornano in Spagna.
Dopo il 1° agosto 1766 il nome di Castellammare non compare più nel carteggio col fratello Urbano. Vero è che questo termina con la lettera del 2 aprile 1768, perché in questo stesso anno, come si è detto, Don Urbano si trasferisce a Napoli.
Se si vogliono conoscere notizie relative a Castellammare e al rapporto Vanvitelli-Castellammare a partire dal 1768, bisogna allora far ricorso esclusivamente alle altre sparse carte vanvitelliane, le quali peraltro possono fornire nuove indicazioni anche sui periodi precedenti.
Tra quelle conservate presso l'Archivio di Stato di Napoli è certamente interessante la lettera del 27 ottobre 1772 al Consigliere Salvatore Caruso di Napoli,24 nella quale si parla di "un singolare incarico... svolto da Vanvitelli negli ultimi anni della sua vita",25 dopo gli interventi in campo idraulico a Torre Annunziata, Torre del Greco, etc. Dovendo stimare il valore dell'acqua in relazione a un costruendo molino ed a fabbriche "faciende nella casa degli Espulsi" presso Castellammare, egli si informa sul volume dell'acqua "che scorre dopo li molini dei PP. Certosini di Capri" e viene a sapere che il canale in cui essa scorre sbocca a mare con una pendenza molto debole.
Il difetto della poca pendenza porta la conseguenza della poca attività della macchina alla quale aggiuntovi l'impedimento del moto prodotto dal vicinissimo mare quando è grosso, ne minora qualunque stima... Dovendo risultare il prezzo dell'utile che ricaverà l'interessato dall'uso di questa [macchina] del quale [uso] non ve ne è certezza, dipendendo dall'industria dell'artista... è opportuno... apporvi un censo annuale... che farebbe il prezzo dell'acqua ascender in ducati duecento.
Il vecchio architetto rivela qui il suo pragmatismo, che è nel suo caso e più in generale, a prescindere da quest'ultimo esempio particolare, alta visione di vita, basato com'è sulla conoscenza e sulla pratica come mezzi di ricerca della verità.
Altre carte del Vanvitelli andrebbero raccolte, ordinate, pubblicate. Se ciò si facesse ne trarrebbero vantaggio certamente gli studiosi di architettura, ma non solo essi.
NOTE
1 Soprintendenza alle Gallerie della Campania, Disegni di Luigi Vanvitelli nelle Collezioni pubbliche di Napoli e di Caserta, Napoli 1973. Occorre qui citare anche la trattazione di Cesare De Seta sui Disegni di Luigi Vanvitelli architetto e scenografo, in [Aa. Vv.], Luigi Vanvitelli, Napoli 1973, pp. 273-311, e, dello stesso Jörg Garms, Altäre und Tabernakel von Luigi Vanvitelli, in "Wiener Jahrbuch für Kunstgeschichte", 1974, pp. 140-157.
2 Cfr. Franco Strazzullo, Autografi vanvitelliani della Biblioteca Nazionale di Napoli, Numero speciale di "Restauro" in occasione delle celebrazioni vanvitelliane del 1973, Napoli 1973.
3 Cfr. Domenico Demarco, Documenti vanvitelliani nell'archivio storico del Banco di Napoli, in Sovrintendenza alle Gallerie della Campania, Istituto di Storia dell'architettura dell'Università di Napoli, Archivio Storico del Banco di Napoli, Mostra Vanvitelliana. Catalogo dei documenti e dei modelli, Napoli 1973.
4 Cfr. Franco Strazzullo, Le lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, 3 voll., Galatina 1976-1977. Accanto ai suddetti regesti e raccolte, cfr., dello stesso Strazzullo, le Lettere a Luigi Vanvitelli, in "Arte Cristiana", Milano, n. 606 (dic. 1973), pp. 287-368.
5 Cfr. soprattutto Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), regesti a cura di Rosa Mincuzzi, Roma 1969, che contiene interessanti notizie su Castellammare, e Lettere inedite di Bernardo Tanucci a Ferdinando Galiani, in "Archivio storico napoletano", XXIX (1904).
6 Reggia di Caserta, Collezione dei Disegni Vanvitelliani, inv. n. 238.
7 L'opera napoletana di Luigi Vanvitelli, in [Aa. Vv.], Luigi Vanvitelli, op. cit., p. 151.
8 C. De Seta, Disegni..., op. cit., p. 302.
9 R. Pane, L'attività di Luigi Vanvitelli fuori del Regno delle Due Sicilie, in [AA. VV.], Luigi Vanvitelli, op. cit. p. 92.
10 Ibid., p. 58.
11 L. Vanvitelli Jr., Vita di Luigi Vanvitelli, a cura di Mario Rotili, Napoli 1975, p. 98 sg.
12 Cfr. ancora A. Venditti, Op. cit., p. 94 sg.
13 Fascicolo Manoscritti XV-A-9 bis, busta 5, cc. 19 e 31. Cfr. F. Strazzullo, Autografi..., op. cit.
14 Il Vanvitelli non specifica quale delle acque di Castellammare egli 'prenda'. E' presumibile si tratti della "Media", che può provocare gli effetti indicati e che in quegli anni era notissima e considerata tra le più importanti acque minerali.
15 Lettere di Bernardo Tanucci..., op. cit., p. 191. Il passo è citato in F. Strazzullo, Le lettere..., op. cit., III, p. 109.
16 La città di Stabia e San Catello suo patrono, Sorrento 1955, p. 81 sgg.
17 I timori per la esposizione della Cuccagna durante il Carnevale a causa degli assalti del popolo provocato dalla fame ("Non si sta quieti d'animo per ragione della farina e del grano", ha detto il Vanvitelli poco prima, nella stessa lettera), si riveleranno poi fondati (cfr. la lett. 1125 del 12 febb. 1764).
18 Il Vanvitelli aveva già spedito al Cardinale Sciarra 50 altre piante che temeva, fondatamente, si sarebbero guastate durante il viaggio; pertanto, su indicazione dello stesso Cardinale provvederà altrimenti alla spedizione di queste (cfr. la lett. 1126 del 18 febb.).
19 Lettere di Bernardo Tanucci..., op. cit., p. 197. Il passo è citato in F. Strazzullo, Le lettere..., op. cit., III, p. 123.
20 Le reliquie del Santo erano state fatte esporre dal popolo come ultimo appiglio in una situazione che appariva ormai senza rimedi (cfr. lett. 1131 del 5 marzo), mentre il re e i reggenti erano scappati a Caserta.
21 Girolamo Starace fu un pittore napoletano seguace del De Mura e amico del Vanvitelli. Settepanelle, secondo la definizione di A. AItamura, è il "servo povero di padrone ancora più povero o avaro (un panino per giorno e un assai misero salario)" (Dizionario Dialettale Napoletano, Napoli 19682, s. v.).
22 L'abate Ermenegildo Sintes di Roma, uditore della Nunziatura di Parigi, che un anno prima il Vanvitelli avrebbe ben visto nella Fabbrica di San Pietro per non vedervi insediato il Piranesi "intagliatore, non già architetto" (cfr. lett. 1150 del 15 mag. 1764), e che un anno dopo ringrazia Dio non esserci entrato perché "animale" (cfr. lett. 1265 del 2 lug. 1766).
23 Anche per questo male pare fosse allora indicata l'acqua "Media".
24 A. S. N., Casa Reale Amministrativa, Maggiordomia maggiore, fs. 16; la lettera è in parte riportata da R. Di Stefano, Luigi Vanvitelli ingegnere e restauratore, in [AA. VV.], Luigi Vanvitelli, op. cit., p. 199. Salvatore Caruso era il delegato di Castellammare.
25 R. Di Stefano, Op. cit., p. 199.
(Da "CULTURA E TERRITORIO", II - 1985, [1987], pp. 155-169).
(Fine)
Questo studio ora appare —riveduto,
aggiornato, ampliato— nel volume edito nel 2006 a Castellammare di Stabia da
Nicola Longobardi Editore
G. Centonze,
Stabiana. Castellammare di Stabia e
dintorni nella storia, nella letteratura, nell'arte
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