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GIUSEPPE CENTONZE

San Catello e il culto micaelico sul Faito

(Novembre-Dicembre 2008)

 



 

Il culto di san Michele sul Faito è antico quanto san Catello, come si sa: al santo vescovo di Stabia, infatti, mentre era in ritiro sul monte con sant’Antonino, fu richiesto in una visione dall'Arcangelo di costruirvi e dedicargli un oratorio, che fu immediatamente molto frequentato dai devoti campani.

Già per questo motivo esso ha avuto la particolarità di essere strettamente, quasi imprescindibilmente, legato a quello del santo protettore di Castellammare.

È significativa, a tal riguardo, la considerazione fatta nella Vita del glorioso confessor di Cristo S. Catello (1623) dal p. Giuseppe Alvino della Compagnia di Gesú, a proposito dell’oratorio e dei pellegrinaggi che vi si facevano, e cioè che la presenza di san Michele sul monte Aureo poteva ben far inorgoglire la già «felice» Castellammare, «non havendo che invidiar molto alla Puglia» per il culto dell’Arcangelo sul monte Gargano, «aggiuntavi la gloria per l’habitatione dei beati Romiti, Catello Vescovo, et Antonino Abbate»:


«Perloche può con molta ragione gloriarsi la Città di Castel à mare, e per conto di lei, piú che per la fertilità dei campi, e temperie del clima, tenersi veramente felice terra di Lavoro, non havendo, che invidiar molto alla Puglia, venendo honorata in detto Monte Gauro, veramente Aureo con la medesima presenza del Principe dell’Angeli S. Michele con la quale quella viene nobilitata nel Monte Gargano, aggiuntavi la gloria per l’habitatione de beati Romiti, Catello Vescovo, et Antonino Abbate».


Il legame tra san Catello e san Michele sul Faito, rimasto costante nel tempo, ha lasciato evidenti tracce nella devozione popolare e nella tradizione.

Innanzitutto, si è conservato vivo il ricordo della presenza del santo vescovo sul monte. È chiamata, infatti, di san Catello la grotta nei pressi di Portaceli ritenuta il luogo di ritiro e di preghiera dei due «beati romiti»; ed è chiamato monte Catiello uno dei Tre Pizzi del monte Sant’Angelo, quello di m. 1326 (gli altri due sono il monte S. Michele o Molare, di m. 1444, e il monte di Mezzo, di m. 1426); inoltre, la cosiddetta ciampa del diavolo è ritenuta l’orma lasciata su una roccia del monte dal diavolo in fuga scacciato da san Michele perché tentava Catello e Antonino, e la vicina cosiddetta acqua santa si diceva sgorgasse da una fenditura nella pietra provocata dalla lancia scagliata dall’Arcangelo contro lo stesso diavolo.

Ma non va dimenticato qualche altro aspetto non certo secondario.

Infatti, al tempio di san Michele del Faito si andava, seppure in pochissimi, anche il 19 gennaio, giorno della festa del patrono san Catello, nonostante il clima sfavorevole e nonostante le contemporanee solenni celebrazioni a Castellammare, e si verificava anche allora la sudorazione della statua dell’Arcangelo, quasi a significare la celeste gratitudine nei confronti del vescovo che aveva costruito la chiesa e celebrato le prime funzioni, andando incontro a incomprensioni e calunnie.

Per di piú, si riteneva che quell'acqua o manna che usciva nella parte posteriore della chiesa, di cui ci parlarono nel sec. XVIII il canonico Buonanno e il Milante a proposito del prodigio della sudorazione, fosse dovuta proprio alla presenza del corpo di san Catello, come nel caso di altre manne nel Sud d'Italia scaturenti da corpi o reliquie di santi (ad es. san Nicola a Bari, san Matteo a Salerno, sant’Andrea ad Amalfi); tant'è che anche lí fu scavato, come scrisse ancora il Milante, nella speranza di trovarvi il corpo di san Catello.

In una raccolta manoscritta, infatti, il suddetto canonico Nicola Buonanno aveva annotato, a proposito dell’anniversario della Dedicazione del 1713, che il 30 luglio, antivigilia, era uscita acqua («che piamente si crede Manna supponendosi che sotto … forse vi sia sotterrato il corpo di S. Catello») in grande abbondanza dalla fonte «sita alla graticcia di ferro sotto la predella dell'Altare maggiore di detta Chiesa di S. Angelo», che era stata quasi asciutta da 23 anni; mentre, il giorno dopo, nonostante il gran caldo e la gran folla non era avvenuta l’attesa sudorazione della statua di san Michele, che pur si era verificata anche in periodi di fresco o di freddo e alla presenza di poche persone, come normalmente accadeva il 19 gennaio, giorno della festa di san Catello:


«Nel dí 30 di luglio 1713 Domenica ad hore 14 incirca; essendosi cantata la Messa nella Chiesa di S. Angelo sita nella cima del Monte Gauro, seu d'oro o Monte di Faito, giurisdizione del d.o Rev.mo Capitolo, fu osservata la fonte che stà sita alla graticcia di ferro sotto la predella dell'Altare maggiore di detta Chiesa di S. Angelo tutta piena di acqua che piamente si crede Manna supponendosi che sotto à drittura del cannolo di d.a forse vi sia sotterrato il corpo di S. Catello, Vescovo e Principal Protettore di detta Città, et in tanta abbondanza che sin dall'anno 1690 [anno della ricostruzione] non se n'è osservata simile in tanta quantità. Per lo che da Sacerdoti si cantò in d.a Chiesa il Te deum laudamus e fu dispensata à tutti dal Sig.r D. Francesco Longobardo Can.co e Provicario in d.o luogo destinato dal Rev.mo sigr Vicario capitolare (sede Episcopali vacante) D. Giacomo Massa Can.co et Archid.o di d.a Cattedrale, e successivamente ne sorgeva piú quantità essendosene in tutto à due barili in circa. E poi à 31 luglio 1713 lunedí ad ore 18, essendosi cantato il Vespro in detta Chiesa di S. Angelo, per essere la vigilia della Festa della dedicazione di detta chiesa, fu osservato che la Statua di marmo di S. Michele Arcangelo collocata nel d.o Altare maggiore non hà scaturito il solito sudore secondo il solito dell'altri anni ab antiquo benché si fusse alquanto imbrunita conforme il solito che si nota prima di scaturire il sudore. E tutto che in d.o dí 31 luglio 1713 avesse fatto un gran caldo, e la detta Chiesa fusse stata piena di gente piú del solito concorso dell'altri anni. Questo s'è notato per chiudere la bocca ad alcuni che dicono ch'il d.o sudore che scaturisce la d.a Statua in d.a vigilia 31 luglio nel dirsi la Magnificat del vespro sia causato dal caldo e fiati della gente esistente dentro d.a Chiesa tanto piú che piú volte in tempo fresco come à 7 maggio, 28 settembre vigilie delle festività di S. Michele Arcangelo. Et anco à 19 Gennaio festa di S. Catello, si è osservato scaturisce d.o sudore, in piú ò minor quantità e con pochissime persone dentro la detta Chiesa».


Il che era stato richiamato anche dal Milante alle pp. 116-117 della sua opera De Stabiis.

Il fenomeno della manna, come l'avevano chiamata il Buonanno e il Milante, tuttavia, si verificava nella parte posteriore della Chiesa e durante le festività di san Michele (se si eccettuano le interruzioni come quella dal 1690 al 1712).

Ci fu, però, un altro straordinario miracolo, che, pur essendo avvenuto nel sito micaelico del Faito, riguardò soltanto e direttamente san Catello e fu interpretato come un chiaro segno della presenza del corpo del santo vescovo sul Faito.

Si trattò di una fioritura di tulipani fuori stagione sulla parte alta e aspra della montagna, per di piú coperta dalla neve, della quale riferí lo stesso mons. Milante, nella Dissertatio V (De Episcopis Stabiensibus) del De Stabiis, a conclusione del suo discorso su san Catello.





Il dotto vescovo, dando per certa la tradizione che voleva il suo santo predecessore morto sul Faito (il 19 gennaio di un imprecisato anno), riteneva che il suo corpo avrebbe dovuto trovarsi nel sito micaelico di quel monte, ma non tanto nella chiesa, dove era stato già inutilmente scavato e dove non avrebbe voluto lo stesso umile Catello, quanto nel luogo detto Porta Coeli.

Il passo, trascurato nella traduzione del De Stabiis pubblicata dal D'Avitaja-Rapicano nel 1836, fu pertanto poco conosciuto e, talvolta, anche non rettamente riferito.

Lo riportiamo integralmente in traduzione.


«Ci rimane in fine da trattare brevemente della felice dipartita di san Catello.

«Del suo beato trapasso possiamo soltanto dire che avvenne nella pace e col bacio del Signore; ma circa il giorno, il mese o l’anno, in cui egli convolò alla beatitudine eterna, possiamo soltanto dire che chiuse gli occhi il 19 gennaio, come fra poco si confermerà. Se poi si vuol sapere dove il santo vescovo abbia portato a termine i suoi giorni, ci viene incontro la comune tradizione ricevuta dagli antichi, secondo la quale diede sul monte Aureo l'addio al mondo, egli che lí scansò e superò il mondo, e come un secondo Mosè andandosene sul monte rimase nascosto fino a questo giorno a tutti, egli che cosí ingiustamente fu dai suoi Diocesani accusato e colpito con calunnie e patimenti.

«Certo, sebbene sia stato operato con molto zelo soprattutto dal mio predecessore [mons. Falcoja] per trovare le sue sacre spoglie, perse l'olio e l'opera chi scavò quasi tutti i luoghi dove era presumibile rinvenire i resti del suo corpo. Fu infatti tumulato sul lodato monte presso il Sacro Oratorio di San Michele, dove in vita di giorno e di notte si trattenne nella preghiera, e fuori del recinto della chiesa (in quella chiesa, infatti, da ogni parte scavata niente fu trovato). Ma dove precisamente, è ignoto. Infatti, anche se alla fine dell'ottavo secolo e successivamente sarebbe stato possibile tumulare i vescovi in chiesa, come si permette nel Concilio Moguntiaco (a. 813) e si conferma nel Concilio Meldense (a. 845), tuttavia l'uomo di Dio, che tese l'animo all'umiltà fino alla morte, senza alcun dubbio non volle che le sue ceneri fossero accolte all'interno della chiesa e, come a noi è lecito credere, fu sepolto in quel sito che per questo fino ad oggi è detto Porta Coeli; infatti anche se avrebbe potuto essere sepolto nella parte posteriore del lodato tempietto, che è detta la fonte della manna, prima nominata, tuttavia neppure lí fu trovato il suo sacro tumulo nelle meticolose ricerche per questo fatte dal nostro lodato predecessore.

«E che sul lodato monte Aureo e nel luogo suddetto (anche se è piuttosto ampio) riposino le ossa del santo Uomo, oltre che dalla comune e antichissima tradizione, ho saputo essere confermato da un prodigio, secondo la deposizione di fedeli testimoni, che, da me raccolta, a buon diritto ho ritenuto di aggiungere ad essa. Quando infatti alcuni anni addietro il prete secolare della nostra Diocesi don Giuseppe Cerchia, nel giorno della nascita al cielo di san Catello, cioè il 19 gennaio (da tempo immemorabile quel giorno fu dedicato al suo Natale), si recò al lodato monte e alla chiesetta di san Michele con otto laici e pii uomini (dei quali molti ancora vivono) per adempiere in quel tempio alle funzioni sacre e in memoria del santo vescovo Catello, che lí aveva acquisito lo spirito del divino amore e il fervore della santità, trovò tutta la sommità del monte ricolma di fiori bellissimi e di vari colori, quelli che sono chiamati dal volgo tulipani, come se fosse non il vertice di un asperrimo monte, ma il campo di una valle ridente e fiorito in primavera, mentre in quel periodo invernale tutto era irrigidito dal gelo e, essendo il monte dappertutto coperto dalla neve, fu difficilissimo per gli stessi ascendervi, anche appoggiati al bastone. Questo miracolo fu manifesto a tutti, fintantoché quegli stessi, che si erano recati colà, tornando raccolsero molti fiori e li portarono in città legati in fasci»




 Post fata resurgo

 

 

(Da «L'Opinione di Stabia», XII 127 – Nov.-Dic. 2008, pp. 18-19).

(Fine)

 

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per Stab...Ianus

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