GIUSEPPE CENTONZE
La rotta della neve
(Maggio 2006)
Castellammare di Stabia, affacciata sul golfo di Napoli ai piedi del Faito e con alle spalle i monti Lattari, necessariamente trasse le sue risorse economiche dal mare e dal monte.
Se il mare donava il pescato, accoglieva le navi varate e agevolava lo scambio delle merci, il monte elargiva piú di quanto si possa immaginare, coi suoi pascoli che consentivano la produzione di latte e latticini, coi suoi boschi che offrivano il materiale per la costruzione di case e navi, il frutto stesso del castagno, le fascine per i forni e il carbone, con le sue stesse viscere che davano la calce per edificare e filtravano vari tipi di acque miracolose.
Ma il monte offriva una ulteriore risorsa, ritenuta fondamentale nei secoli scorsi dai napoletani, non alleviati durante le calure estive dalle odierne comodità come il frigorifero; offriva cioè la neve, che veniva raccolta, conservata e trasportata per essere poi consumata in sorbetti o per rendere “nevata” l’acqua da bere o per mantenere fresca la frutta.
Il fenomeno incuriosí ed interessò molto i viaggiatori e gli osservatori stranieri, che vollero descrivere l’insolita ed eccessiva diffusione dell’acqua nevata a Napoli e i singolari modi di trasportarvi la neve dai monti di Castellammare. Seguiremo le testimonianze che tre noti viaggiatori, Swinburne, Craven e Mayer, ci lasciarono in diversi momenti, rispettivamente nell’ultimo quarto del Settecento, nel primo e nel secondo quarto dell’Ottocento.
L’inglese Henry Swinburne (1743-1803) viaggiò nel Regno dal 1777 al 1780 e pubblicò a Londra negli anni 1783-1785 i suoi Travels in the two Sicilies, che ebbero grande diffusione per l’accuratezza delle informazioni e l’originale e profonda lettura del Mezzogiorno d’Italia. In questi, evidenziando la fortissima passione dei napoletani per l’«acqua nevata», fece riferimento per primo al trasporto giornaliero della neve da Castellammare e al privilegio esclusivo che i Gesuiti si erano assicurato di rifornire la città di Napoli:
«La passione per questa acqua nevata è cosí viva a Napoli, che non vi è assolutamente nessuno, se non i mendicanti, a bere l’acqua al suo stato naturale, ed io sono persuaso che una carestia di pane sarebbe piú sopportata di una carestia di neve. La si porta in bastimenti tutte le mattine dalle montagne che sono dietro Castellammare e l’appalto è notevole. I Gesuiti, che possiedono capitali immensi e il vero spirito d’impresa, hanno acquistato il privilegio esclusivo di fornire la neve in tutta la città».
Il barone inglese Richard Keppel Craven (1779-1851), di sensibilità già romantica, pubblicò a Londra nel 1821 A Tour through the Southern Provinces of the Kingdom of Naples, con penetranti intuizioni e attente analisi delle realtà sociali del Mezzogiorno. In esso descrisse con molta precisione l’insolito modo di trasportare la neve dal monte al mare di Castellammare:
«Un altro promontorio separa Vico da Castellammare, posta sotto i monti piú alti che costeggiano il golfo di Napoli. Una cima in particolare, Sant’Angelo, è piú alta del Vesuvio, e i suoi recessi piú alti sono perennemente coperti di neve. è questo luogo infatti che rifornisce la capitale di ghiaccio, di quel prodotto tanto necessario per tutto l’anno. Viene raccolto in grotte naturali, da dove poi viene prelevato quando serve. Il modo con cui è trasportato da queste grandi altezze è tanto semplice quanto singolare e veloce. Lunghe funi vengono tese dall’alto verso il basso. Il blocco, rivestito con cura di foglie secche e cespugli, viene sospeso su una fune con dei ganci e il suo stesso peso lo porta a valle molto rapidamente. Ad ogni angolo vi è un ragazzo che ha il compito di appendere il gancio sull’altra fune; l’ultima li deposita direttamente su imbarcazioni che portano il carico a Napoli. Questa operazione dura pochi minuti, mentre un qualsiasi altro tipo di trasporto avrebbe richiesto ore, poiché i sentieri della montagna sono ripidi e ardui».
Il letterato tedesco Karl August Mayer (1808-1894) pubblicò ad Oldenburg nel 1840 Neapel und die Neapolitaner, una descrizione epistolare molto interessante e profonda del suo viaggio a Napoli, di piacevole lettura, tradotta in parte da Lidia Croce col titolo Vita popolare a Napoli nell’età romantica (Bari 1948). In essa offrí una descrizione ampia e dettagliata dell’intero percorso della richiesta derrata, attestando anche un altro modo di trasportare la neve dal monte:
«Devo anche dire una parola sui rinfreschi preparati con la neve, che si prendono soprattutto di sera, e d’estate sono ai napoletani piú necessari dei maccheroni. Poichè sui monti vi è molta neve ma poco ghiaccio, di regola ci si serve solo di neve per rinfrescare le bibite, o per tener fresca la frutta. L’alta cortina di monti che separa il golfo di Salerno da quello di Napoli, e la cui cima piú alta si chiama il Sant’Angelo, è la grande produttrice di neve di Napoli. Là, soprattutto nel lato nord, si trovano una quantità di gole, di buche o anche di cantine, che servono a conservare la neve, e sono riparate dall’aria per mezzo di rami, fogliame, paglia o muratura. Appena la neve è caduta, la vanno a prendere e, dandole forma di palle, la trasportano in questi luoghi. Sono stato d’inverno nei villaggi sul Sant’Angelo e ho visto interi comuni uscire giubilanti a sotterrare questo prezioso mezzo di refrigerio: la manna che cade dal cielo ai napoletani.
Ogni notte scendono da quelle alture le bestie da soma con pesanti carichi di neve giú a Castellammare; di là la neve viene trasportata, pure di notte, in barche ricoperte di fogliame e di frasche, alla riva di Napoli. Gente addetta a ciò la trasporta poi nel grande magazzino: dogana della neve, dove i commercianti di neve, che si trovano in ogni strada e in ogni vicolo, se la dividono. Le loro botteghe devono restare aperte anche di notte. Sono addetti dalla polizia al trasporto e alla custodia della neve, un centinaio di uomini.
La mancanza di neve qui sarebbe peggiore della mancanza di pane in Germania: ne nascerebbe immancabilmente una sommossa generale. Perciò le persone a cui è affidato il compito di provvedere Napoli di neve, quando nevica poco sugli Appennini la prendono dall’Etna o dal Nord, e se la fanno mancare cadono in enormi multe. Non molto tempo fa si è fatto pagare a un fornitore, per questa mancanza, una multa di 30.000 ducati, e inoltre egli dovette anche mandare una nave in Dalmazia, per prendervi della neve.
Non solo in città, ma anche nei piú piccoli villaggi si consuma questa bibita sana e ristoratrice e l’uso che se ne fa è incredibilmente grande. Cosí in un’estate che passai a Ischia vidi trasportare continuamente enormi balle di neve cucite in stuoie a Casamicciola, il villaggio in cui abitavo, sebbene allora vi dimorassero solo pochi stranieri. Gli uomini, che la trasportavano sotto un sole cocente, dal battello su per le salite, erano seminudi e scalzi, e camminavano per una via pietrosa. Mi meravigliavo della loro forza e resistenza ogni volta che li vedevo, eppure il nutrimento consueto di questa gente —aglio, meloni, e quando va bene, maccheroni,— è sempre molto insufficiente.
Il napoletano d’estate senza neve non è buono a niente: una cattiva bibita è per lui il piú prezioso refrigerio appena vi si getta dentro un po’ di neve; mette in bocca interi grumi di neve, che si portano a tavola in cucchiai, per quanto sporchi possano essere, e li mastica con grande gusto».
(Da «L'Opinione di Stabia», X 108 – Aprile 2006, pp. 14-15).
(Fine)
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