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GIUSEPPE CENTONZE

L’arresto di monsignor Cocle a Castellammare

(2001) 

 

 Busto di monsignor Celestino Cocle
Disegno di A. Jovine, Litografia Richter e C.

La comparsa sul mercato antiquario napoletano di un rarissimo foglio volante a firma A.T., datato 7 marzo 1848 e intitolato Arresto di Monsignor Cocle[1] (presente nella biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria[2] ma non nelle pur ricche raccolte della Biblioteca Nazionale di Napoli e della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma), ha offerto l’occasione di apprendere alcuni particolari di un eclatante episodio di quell’agitatissimo anno non privi di interesse e di originalità, riguardanti anche la città di Castellammare di Stabia e rimasti sconosciuti alla storiografia locale.

Poiché le notizie in esso riportate non appaiono in contrasto con quelle piú generali che già si ricavavano da alcune fonti storiografiche e, per quanto attiene ai particolari non noti, trovano alcuni chiari riscontri in altri documenti di archivio, riteniamo che si possa prestare buon credito all’episodio cosí come descritto, se si tien conto della sua connotazione di ‘notizia’ giornalistica, ‘orientata’, ma senza alterazioni, e divulgata, attraverso il ‘foglio volante’, fra un pubblico straordinariamente desideroso di conoscere i momenti e gli esiti di una vicenda che aveva toccato e acceso totalmente gli animi.

 È opportuno premettere qualche nota sul singolare personaggio e sul clima ostile che gli si creò intorno in un momento tanto arduo per tutti quanto infausto per lui, che passò in un lampo dal potere all’esilio; nonché sulla funzione della stampa e dei fogli volanti, specie nei primi confusi e chiassosi mesi di quell’abbagliante, illusorio, amaro 1848 napoletano.

Monsignor Celestino Cocle, nato nel 1783 a San Giovanni Rotondo (Foggia), superiore generale dei Redentoristi (detti anche Liguorini dal nome del fondatore S. Alfonso de’ Liguori) dal 1824 al 1831, arcivescovo titolare di Patrasso dal 1831, era noto soprattutto come confessore del re Ferdinando II, di cui era stato istitutore, e per il fortissimo potere e i grossi vantaggi anche materiali che si diceva avesse saputo trarre da tale condizione.

Se si fa eccezione del difforme giudizio del filoborbonico De Sivo, che lo definí «perseguitato»[3], le testimonianze sulla figura del prelato sono generalmente molto negative. Esse insistono soprattutto, con toni e colori diversi, sulla corruzione o sulla influenza nefasta sul re o su entrambe, con una curiosa parentesi: il cattolico Jacques Crétineau-Joly, al quale era stata affidata da Gregorio XVI e poi da Pio IX la stesura di una storia delle società segrete per svelarne al mondo le macchinazioni, trovandosi a Napoli per tale incarico, lo descrisse in grado, sí, di influenzare totalmente il re, ma da «carbonaro» addirittura[4].

Per Niccola Nisco il Cocle «si studiò a far rivivere nella corte napoletana la misteriosa potenza dei confessori dell’antica corte di Spagna, essendo uomo capacissimo a mescolare i piú brutti consigli con le piú sante cose»[5]. Toni molto piú violenti furono usati, all’indomani del fallimento della rivoluzione, da uno sferzante Ferdinando Petruccelli della Gattina: «Ladro, abietto, vigliacco, compendiava in se quanto vi ha di piú brutto in una creatura umana decaduta: era frate e servitore ad un tempo. La sua passione era l’orgia la piú triviale; era l’oro; era vendere in dettaglio il suo penitente»[6].

Ma già un anno prima degli avvenimenti del ’48, Luigi Settembrini nella Lettera a Pio IX lo aveva definito «infernale consigliere di iniquità»[7] e nella clandestina Protesta del Popolo delle Due Sicilie (che aveva fatto conoscere anche all’estero le scandalose figure di alcuni ministri e dello stesso monsignor Cocle) aveva riportato particolari su suoi collaboratori e complici, affari e raggiri, appartamenti e lussi, asserendo tra l’altro: «Questo monaco furbo tiene ambe le chiavi del cuor di Ferdinando, e le volge a suo talento; gli fa credere che è inspirato da S. Alfonso, che ei lo vede in sogno, che ei dice quello che il Santo gli detta; la buona pasta del Re l’ascolta e l’ubbidisce in ogni cosa. [...] Monsignore mantiene i Ministri, dà gl’impieghi, fa negozii, bada a’ preti, a’ frati, a tutti; Monsignore è re, e suoi ministri sono il fabbricatore Passaro, ed il carrozziere De Martino. Questi trattano gli affari, danno udienza in casa loro, e vendono la loro protezione a magistrati, militari, donne, nobili, preti, frati, e a tutti coloro che han molti denari»[8].

Quanto alla stampa clandestina, che, come nel caso della Protesta del Settembrini, si era fatta molto sentire, Luca De Samuele Cagnazzi annotava cosí la situazione nel 1847: «Nel mese di giugno e quindi in luglio cominciarono a circolare delle proteste ossia satire contro del Governo, malignandosi Monsignor Cocle, confessore del Re, ed i due Ministri Santangelo e del Carretto»[9]. E il 7 luglio 1847 lord Napier, della legazione inglese a Napoli, in un dispaccio scriveva: «Durante l’assenza di Sua Maestà e il conseguente ristagno nei pubblici affari, la stampa clandestina ha piú che mai lavorato a disseminare satire e attacchi contro la pretesa incapacità e corruzione tanto dei ministri quanto del confessore del Re alla cui segreta e potente ispirazione si attribuiscono generalmente gli errori di Sua Maestà»[10].

Tale personaggio, inviso ai liberali e al popolo, malvisto anche da una parte del clero, finí per preoccupare la classe dirigente, i diplomatici stranieri, persino i ministri del re. Il Settembrini, nelle Ricordanze, affermava: «C’era un’altra specie di cospirazione senza impazienze violente, una cospirazione lenta, continua, palese, nella quale prendevano parte tutte le persone colte, tutti gli uomini di buon senno, e parecchi ancora di quelli che stavano intorno al principe, e gli erano grati per benefizi ricevuti, ma non potevano approvare tutti gli atti del suo governo, e le prepotenze della polizia, e l’onnipotenza del confessore monsignor Cocle. [...] e taluni anche fedelissimi non risparmiavano neppure il re. Il marchese di Pietracatella, presidente dei ministri, diceva in sua casa agli amici: ‘Io gliel’ho detto molte volte [al re]. Mettete in carrozza monsignore, e mandatelo ai confini: licenziate il Gendarme, a cui avete dato troppo potere’»[11]. Cosí pure Maurizio Dupont, il francese di idee liberali tenuto in molta considerazione dal re, suggerí di liberarsi di Cocle e Del Carretto[12]; ed anche altri, anche indirettamente, dettero tali consigli.

Insomma, vi fu un fortissimo malcontento generale, un coacervo di passioni e di pressioni, che poi condussero anche a dimostrazioni popolari e a petizioni per ottenere la costituzione, e costrinsero il re a prendere con urgenza provvedimenti che permettessero di ingraziarsi i liberali e frenare il popolo. Si giunse in tal modo agli avvenimenti di fine gennaio.

Il 26 gennaio il Ministero di Polizia fu soppresso e accorpato a quello dell’Interno e il Del Carretto fu esonerato ed espulso di notte con un affrettato quanto disinvolto decreto reale: «Considerando che il Marchese Signor Francesco Saverio Del Carretto è stato la causa effettiva dell’oppressione e desolazione dei nostri amatissimi sudditi del Regno delle Due Sicilie; considerando che ragionevolmente lo stesso ha attirato contro di se lo sdegno e l’indignazione dell’universale; considerando che proseguendo a stare in carica potrebbe essere una cosa pericolosissima e compromessiva per la pubblica e privata tranquillità; per tali motivi ordiniamo che il medesimo resti deposto dall’una e dall’altra carica, e resti esiliato a Livorno». Fu accompagnato a bordo del Nettuno diretto prima a Livorno e poi in Francia, senza che potesse salutare neppure i familiari. «Preceduto dalla mala fama ovunque si accostava col piroscafo gli negavano l’acqua ed il fuoco: a Marsiglia volevano ucciderlo. Sembrava un nuovo Caino in odio a se stesso ed al genere umano»[13]. Il 27 gennaio lord Napier scriveva: «Il gesto, per quanto popolare, costituisce un’odiosa violazione delle leggi, poiché il ministro caduto è stato condannato al bando senza un legittimo giudizio e in forza di un ingiustificato, spietato abuso di potere»[14].

Toccò anche al confessore del re di essere licenziato, nonostante cercasse di porre ripari: «All’indomani un altro uomo si presentava alla corte, ma neppur esso veniva ricevuto [...]. Una lettera di lui a Delcarretto era stata presentata al re»[15]. Sulla sua successiva espulsione, Raffaele de Cesare osserverà: «Ferdinando II non amò nessuno, com’è regola di ogni principe regnante. Non si oppose all’esilio di monsignor Cocle, creduto l’arbitro del suo cuore»[16].

L’allontamento dei due potentissimi personaggi accrebbe súbito le speranze e le attese. Il 27 gennaio con una grande manifestazione popolare si mostrò gratitudine al re e si incitò a concedere la costituzione. Il 28, «giorno di ansietà indicibile per tutti i partiti e per l’intera città»[17], fu nominato un nuovo governo. Il 29 con un atto sovrano la costituzione fu concessa.

Da qualche tempo Monsignore aveva fiutato la nuova aria e si era premunito prendendo posizione contro Del Carretto. A detta dell’arcidiacono Cagnazzi, che in passato lo aveva conosciuto e che pare in qualche modo volesse distinguerlo dalle odiate figure dei ministri in disgrazia, «Cocle si era anche disgustato col Ministro di Pulizia»[18].

Ancora secondo il Cagnazzi, egli «si allontanò dalla Corte ma non da Napoli»[19]. Lo stesso Cocle, pur esagerando fino all’inverosimile, al momento dell’arresto a Castellammare protesterà al prefetto di polizia «la sua innocenza proclamando che sin da’ primi giorni del passato dicembre erasi allontanato dalla Reggia consigliando che si desse una Costituzione al paese»[20].

Già prima del 26 gennaio non si era piú visto in giro e aveva fatto perdere le sue tracce. Lord Napier infatti il 27 gennaio, informando Londra sul caso Del Carretto del giorno prima, aggiungeva: «Da alcuni giorni il confessore del Re, Monsignor Cocle, è assente dal consueto teatro delle sue attività. Certi dicono che si sia ritirato a Benevento, altri che si trovi in un convento del suo ordine, a Nocera. La prima supposizione è la piú attendibile»[21].

Mentre altri lasciavano il regno, egli girò in zona, probabilmente prima in Napoli e poi nei dintorni, ospitato in conventi, non solo dei suoi Liguorini, o forse anche in case di amici: «La paura e la coscienza del passato li cacciava tutti dalla terra redenta della Libertà. Il solo Monsignor Cocle ramingava tuttavia nascondendosi qua e là tra le cocolle de’ frati: senza pertanto intermettere mai le sue pratiche in Napoli col famoso prete D. Placido Baker e i nostri nemici. Il governo però sapeva tutto e invigilava i suoi passi»[22].

Intanto, nel nuovo clima di fermento, entusiasmo e speranze, la stampa era in pieno fervore e uscí all’aperto con molti giornali e riviste e moltissimi fogli volanti, di frequente satirici. «L’elemento di novità piú evidente fu la nascita di una stampa politica. [...] I giornali tennero il posto dei partiti, che non si erano formati per il divieto di discutere i problemi del paese imposto dall’assolutismo. L’improvvisa libertà permise l’espressione delle piú divergenti opinioni, con un’asprezza polemica che colpí i contemporanei»[23].

Dalla fine di gennaio alla metà di maggio uscirono a Napoli circa 130 testate (spesso con una vita veramente effimera perché legata strettamente alla situazione e all’occasione), sulle cui pagine non ci si dimenticò dei personaggi ritenuti i principali colpevoli del malgoverno borbonico. Non furono certo trascurati Del Carretto e il confessore del re, monsignor Cocle.

Di fogli volanti ne apparvero a centinaia, con scritti in prosa e in versi, in lingua e in dialetto. Assunsero le forme piú svariate, dalla comunicazione alla notizia, dalla lettera al discorso, dall’esortazione all’invettiva, dalla supplica alla protesta, dalla spiegazione al dialogo o trascurzo, dall’inno alla canzonetta. Essi rispecchiarono l’entusiasmo, le speranze, i sentimenti popolari (ma non solo popolari), nonché i risentimenti, soprattutto nei confronti dei personaggi piú odiati. Su Del Carretto (o Della Carretta o Il Carrettiere) e sul Cocle (o Don Celestino o Monsignore o Il Monaco) non si risparmiarono le notizie e le curiosità piú o meno attendibili, le satire e le irrisioni piú o meno feroci, o piú o meno divertenti, o piú o meno sciocche, dettate spesso dall’immaginazione o dalla diffidenza: segno che a volte, in quei momenti difficili, o non si riusciva a cogliere in profondità e con razionalità gli avvenimenti e le necessità, oppure non si voleva rinunciare a quella vena umoristica, tipicamente partenopea, che consentiva di alleviare con allegre canzonature le reali sofferenze. Giova tuttavia ricordare che costituirono anche un fondamentale e potente mezzo di diffusione di idee forti, di notizie importanti, di propaganda.

Forse è vero, come dice il Paladino, che gli scritti contenuti negli innumerevoli fogli sul Cocle e su Del Carretto «dimostrano la scarsa educazione politica dei Napoletani nel ’48»[24]. Ed è vero che le argomentazioni erano spesso ingenue e legate a futili avvenimenti, erano talvolta tendenziose, talvolta infamanti. Ma il discorso non vale per tutti i fogli (in qualche misura lo dimostrerebbe proprio l’Arresto di Monsignor Cocle). E poi, in fondo, se pure in forme stravaganti o grossolane, i temi di base erano la giustizia, l’onestà, il buongoverno, temi corrispondenti ad esigenze del paese reale, sui quali sempre si fonda la propaganda a tutti i livelli.

Si vendevano in genere a un grano, quanto i giornali, e, a quanto pare, dovevano pur rendere se uscirono cosí numerosi, anche a puntate, rimandando al foglio successivo la continuazione della notizia. Si fecero anche delle stime sull’insolito commercio, se possiamo dar credito al Mondo vecchio e mondo nuovo del 2 marzo: «Finora non abbiamo avuta altra statistica nel nostro paese che quella de’ dazi, e de’ balzelli. Ora comincia a dilatarsi la materia. Gli scritti per Campobasso e Morbilli ànno reso e posto in circolazione duc. 60000; per Carretto e Celestino duc. 90000; per gli Angeli infernali duc. 50000».

Oggi quelli rimasti sono pezzi rarissimi e spesso unici, pertanto di considerevole valore documentario, conservati in pochi archivi e in poche biblioteche pubbliche o private. Essi rappresentano una testimonianza ricchissima, anche se furono usati per comunicare minuzie, scherzi, indiscrezioni, minacce; una testimonianza, in tal caso, in verità spesso sottovalutata, considerata pura curiosità, disprezzata come vil cosa, ma pur sempre un segno di sentimenti, umori e passioni popolari, di cui certamente si teneva conto al punto di cercare di orientarli proprio con tale mezzo. Tant’è che in quell’anno a Napoli i fogli da una parte furono oggetto di disposizioni restrittive e dall’altra furono usati dalle stesse autorità, civili e religiose, che intendevano cosí ricorrere anch’esse ad un sicuro strumento che incidesse sull’opinione pubblica.

Tra i tanti fogli, che, registrando con smania i nuovi momenti e i nuovi sentimenti, si accanivano contro lo ‘scomparso’ monsignor Cocle, uno proponeva un Dialogo tra lo Scrivano di D. Francesco Saverio ed il Cuoco di fra Celestino: «Scriv. Oh Monsu’ Ciccio da quanto tempo che non ti ho veduto: cosa ti è successo? In questi giorni di universale allegria te ne scappi e non ti fai trovare. / Cuoco. E caro D. Ciccio è allegria per tutti, ma per me nò? / Scriv. E perché. / Cuoco. E come non sai che D. Celestino il mio Padrone non si trova piú? / Scriv. Volevi dire che si è nascosto. / Cuoco. D. Ciccio mio poche sere fa si travestí da Servitore. / Scriv. E mo dove è andato? / Cuoco. Questo non è che si sà»[25]. Un altro, Il pianto della Passarella che ha perduto il frisolone (Dialogo tra Pietro Paolo C. e sua moglie), alimentava la credenza che fosse ancora a Napoli: «P. [...] Ora ti farò confessare da Monsig. Cocle ch’è stato confessore mio, e della Congregazione, e questi sicuramente ti assolverà. / M. Ma se Cocle ch’è scomparso. / P. Io conosco il suo nido, e te ci farò condurre tosto che questa gran calca di popolo furente, sarà scomparsa»[26].

Il De Sivo ricordò con sofferenza: «La stampa inveiva contro persone e cose sacre, propagava nelle provincie i pensieri e i voleri della Giovine Italia; strombazzava vergogne, avversava qualsivoglia atto governativo a disegno; e questo diceva esser lotta generosa di libertà contro tirannia. Gli uomini del passato governo non avean requie, designati a ludibrio, diffamati con calunnie, fischiati per le vie, dovean calarsi a spatriare»[27]. Il Settembrini invece, nelle Ricordanze, rievocava le sue emozioni e riflessioni: «Ogni volta che io udivo i monelli gridare per le vie, vendendo alcune carte stampate: ‘L’esilio di Del Carretto, la fuga di monsignor Cocle, la fuga di Campobasso e Morbillo, storie belle a leggere, un grano l’una!’ io mi sentivo scuotere, e pensavo: ‘Questi uomini quindici giorni fa facevano tremare Napoli, ed oggi sono vituperati’»[28].

Solo in un secondo tempo sarà assunto un atteggiamento piú serio: «La stampa sino allora non si era occupata che d’inezie, mettendo in giro una quantità di foglietti e libelli contro alcuni de’ già caduti ministri e di Cocle, talmenteché, soddisfatto quel primo empito reazionario, tali laide carte fra le oneste persone vennero a noia, e la stampa incominciò a prendere, dopo un mese, una direzione piú giusta e legale, ed a batter di fronte il governo lamentando il ritardo e il mistero che metteva nelle sue operazioni»[29].

 

 

Arresto di Monsignor Cocle
Foglio volante datato 7 Marzo 1848 (Coll. privata).

Fatte tali premesse per inquadrare la vicenda che qui interessa, ritorniamo al nostro foglio volante Arresto di Monsignor Cocle, che indica il convento dei Liguorini di Somma come primo rifugio del prelato in fuga da Napoli.

Il foglio, di mm. 399x266, fu impresso con caratteri ben leggibili su due colonne, con larghi margini, nella «stamperia di Fr. Azzolino, vico Gerolomini n.o 10», nota tipografia napoletana.

Francesco Azzolino, che aveva stampato importanti opere di diritto e di legislazione, fu anch’egli coinvolto nella frenetica attività tipografica del 1848[30], cercando di distinguersi per correttezza e responsabilità. Di lui va qui ricordata una Protesta ai bravi lettori dei fogli volanti, in calce al foglio La caduta de’ repubblicani in Milano, la quale appare molto significativa circa il suo comportamento professionale e, di conseguenza, l’attendibilità dell’Arresto di Monsignor Cocle: «Troppo a ragione lamentano i lettori Cittadini (nel bisogno attuale di avere notizie certe dello stato delle cose) al vedersi solennemente trastullati da alcuni Stampatori e Compilatori degeneri, che a scroccare il miserabile grano, poco o nulla premendogli il decoro della Professione e l’onore Nazionale, dan fuori cartoffole le piú insulse di notizie attrassate o ripetute, inette non solo, ma falsate d’ogni maniera [...] credomi in dovere di avvertire i cortesi lettori, invero immeritevoli per ogni modo di essere canzonati, che a ciò ovviare, al presentarglisi dai venditori una di tali carte, tosto osservino infine la Tipografia cui appartenga: e protesto ad essi, che quelle che da me usciranno, oltre i buoni tipi a poterle comodamente leggere, siccome io le stimo facenti parte della Storia, cosí conterranno sempre fatti constatati dai meglio riputati Fogli, sieno forestieri, sieno nazionali, avendone fatto bastevole acquisto, non che da corrispondenze e lettere particolari di prudenti quanto caldi amatori della verità»[31].

La firma A.T., apposta dall’autore (forse di Napoli, certamente sostenitore della svolta progressista e maldisposto verso i protagonisti del passato malgoverno) non ha riscontri nelle carte consultate, se non nel foglio volante Andrea Romano da carceriere si trova carcerato[32], foglio senza il nome della tipografia e firmato appunto con questa sigla, che tuttavia non è facile far corrispondere alla stessa persona. A.T. comunque, forse anche sigla finta per impedire il riconoscimento del compilatore, o forse senza difficoltà riconoscibile per i lettori di allora, oggi non sembra identificabile; a meno che non sia quell’Antonio Tasso autore del componimento poetico Abbracciamoci siamo fratelli[33] «ceduto dal segnato Autore al solo tipografo Fr. Azzolino», scritto «in segno di attaccamento al Re ed alla Nazione» (lo stesso che, firmandosi A. Tasso, nel foglio Una parola in confidenza[34] esaltò la monarchia costituzionale ed elogiò la Guardia nazionale, invitando alla concordia; e, come Totonno Tasso, nel foglio in versi La cuccarda costituzionale[35] celebrò in vernacolo il 29 gennaio, data della concessione della costituzione).

Chiameremo questo foglio d’ora in avanti Arresto con firma A.T.

In esso si tratta con uno stile asciutto e immediato delle peripezie di monsignor Cocle dopo che andò via da Napoli, in particolare del suo soggiorno a Somma e soprattutto a Castellammare, fino al giorno 6 marzo, data dell’arresto.

In verità sul soggiorno a Somma l’Arresto con firma A.T. offre solo un accenno, se pure con l’importante particolare della decisa reazione popolare in quella cittadina: «Monsignor Cocle da Napoli rifuggiossi a Somma, nel Monastero de’ Liguorini; il popolo lo seppe, accorse armato, e gli tirò delle fucilate; ma disgraziatamente non fu colpito».

Piú circostanziato sulla permanenza del Cocle a Somma appare un altro foglio volante conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli e presso la Società Napoletana di Storia Patria, foglio intitolato Arresto di Monsignore a Castellammare[36] e datato anch’esso 7 marzo 1848, ma senza la firma dell’autore (molto probabilmente napoletano, se esordisce rivolgendosi alla «mia Partenope») e senza il nome della tipografia (anche se la carta e soprattutto i caratteri e la composizione, molto simili a quelli del foglio intitolato Estratto dall’Omnibus[37], impresso dal tipografo Agostino Grimaldi, potrebbero farlo ritenere uscito appunto da quella stamperia).

Tale foglio, che appare piuttosto appassionato, moralistico e declamatorio, sarà qui chiamato Arresto senza firma, per distinguerlo dall’Arresto con firma A.T., con cui sarà messo a confronto.

Anche in esso — dopo un’accorata esortazione a Partenope «a novella vita risorta» a non temere le persistenti insidie di «pochi malnati» che avrebbero certamente conosciuto o la fuga e l’esilio o il carcere — si parla del convento dei Liguorini di Somma come primo luogo fuori Napoli raggiunto dal Cocle, ma si aggiungono notizie e considerazioni sul nuovo attento e circospetto modo di vivere del monsignore: «Appena scovertosi l’iniquo traditore del re, e del regno Del Carretto ed appena questi senza dar neppur un vale alla sua famiglia erasi imbarcato per esser trasferito in estero terreno, che l’iniquo suo compagno l’indegno Prelato dopo aver disposto segretamente quanto occorreva per la sua partenza involò da Napoli portandosi in una altra casa Liguorina in un paesotto circonvicino Napoli detto Somma lasciando quella di Napoli perché mal condizionata vedea la sua vita. Ivi Monsignore lasciando l’ippocrisia incominciò realmente a provare in parte cosa significhi vita cenobitica. Egli per timore d’esser scoverto non usciva mai di stanza, se non ad ora tarda, e serotina, e sortiva molto circospetto avendo lasciato ancora gl’abiti vescovili; per la qual ragione alcuni dissero che Monsignore erasi recato a Benevento altri in Inghilterra altri cento stravaganze. Ma a Somma Monsignor celato non potea giammai rimanere, ed il rimanere non solo era pericoloso, ma impossibile! né potea isperare di esser nascoso lungo tempo tanto piú che a tutte l’ore potea venir chiunque o a vedere il monastero, od a visitare un monaco. Piú i suoi servitori ed i monaci stessi conoscevano il segreto e per quanto fossero incapaci di tradimento poteano però esser presi a sorpresa, ed una parola sola che avessero detto avrebbe al certo esposto Monsignore ad irreparabili conseguenze forse peggiori di quelle che gli erano accadute in Napoli di voler cioè ridurre in cenere Monsignore ed il monastero».

L’Arresto senza firma continua accennando alla situazione di reale pericolo in cui si trovò il Cocle, non tuttavia per l’accorrere e le fucilate del popolo, ma perché alcuni individui poco rassicuranti erano alla sua ricerca: «Altronde l’intera Napoli domandava cercava, e fremea di non vederlo avvilito negletto maltrattato e ... infatti dopo pochi giorni che Monsignore avea goduto segretamente l’aria di Somma, taluni si portarono costà sotto pretesto d’informarsi realmente della sua salute, ma altro era il fine, per vedere cioè se dimorava Monsignore; ma i monaci fermi risposero di nulla conoscere di nulla sapere; mentre poi avvisarono Monsignore dell’accaduto che a solo sentire che s’andava in cerca della sua persona sen rifugiò qual Passerino[38] sul campanile. Misero! a che tanto danaro ti giova? Intanto questi avendo veduto che erano state ben inutili le loro ricerche se ne partirono minacciando».

Divenuto dunque pericoloso il rifugio, secondo entrambi gli estensori dei due fogli volanti, anche se non per il medesimo motivo, monsignor Cocle pensò bene di allontanarsi da Somma.

Va detto però che per Francesco Michitelli (giornalista liberale, che per la sua opera storiografica sul 1848 si serví di cronache di giornali e di ricordi personali, nonché di autorevoli informazioni e documentazioni, presumibilmente fornite a volte dalle stesse autorità di polizia, e che appare comunque tra i piú esatti, per cui è da tenere in opportuna considerazione), fu la stessa polizia a chiederglielo ed anzi ad aiutarlo nella ricerca di un nuovo rifugio, anche se inutilmente, perché rifiutato prima da due intendenti e poi persino dai monaci di un convento: «Fu consigliato, mentre dimorava in un convento del comune di Somma, dalla stessa polizia di allontanarsi ancora di piú dalla capitale, ritirandosi nella sua patria o in qualunque altro paese della sua provincia. Se ne scrisse all’intendente di Avellino ed a quello di Foggia. Risposero che per carità nol mandassero, non potendo essi garantire i giorni del Prelato dall’odio de’ cittadini né l’ordine pubblico colla sua presenza. / Monsignore promise andare a nascondersi in un piccolo cenobio di novizi situato sul confine tra la provincia d’Avellino e quella di Salerno. N’ebbe facoltà dalla polizia; ma a mezza corsa dovette retrocedere, imperciocché que’ monaci gli fecero sentire di non volerlo»[39].

Egli raggiunse quindi Castellammare, cittadina ridente e noto luogo di villeggiatura a lui familiare, come si vedrà, dove pensava di contare su protezioni e amicizie e vivere piú a suo agio.

Sulle peripezie stabiesi del Cocle diventa molto dettagliato e interessante il foglio Arresto con firma A.T. che seguiremo ordinatamente.

Innanzitutto vi si parla dell’arrivo per mare con un brigantino noleggiato (quindi non direttamente da Somma) e della prima difficoltà incontrata per essergli negato il passaporto dall’autorità del distretto: «Penzò mettersi in salvo, noleggiando un Brigantino, dirigendosi a Castellammare per ottenere da quel Sottintendente il passaporto, che gli fu negato».

Successivamente, secondo il foglio, egli bussò alla porta del Monastero de' Cappuccini, ma vanamente, per gli imprevedibili ostacoli frapposti dai frati: «Perciò si portò nel Monastero de’ Cappuccini di quel paese, e quei padri, tenuto consiglio, si determinarono a non riceverlo: è da notarsi che in quel Convento, evvi un tal Padre Superiore Leone, vera talpa, che pure era stato proposto per vescovo dal Cocle nell’epoca de’ suoi fasti; si osservi pure che in quel convento, tenea il Cocle una casina deliziosissima, luogo delle sue conosciute negoziazioni».

Qui A.T. si rivela abbastanza informato.

Intanto, il monastero di cui si parla — nel quale il Cocle presumibilmente sostò solo per il tempo necessario perché si deliberasse sull’opportunità di riceverlo — era in realtà il convento di S. Francesco, sulla strada di Quisisana, allora effettivamente ancora detto «monastero de’ Cappuccini» dal nome dei frati cui era appartenuto fino alla sua chiusura, avvenuta nel 1811 in esecuzione del decreto murattiano del 7 agosto 1809 sulla soppressione degli ordini religiosi possidenti. Ceduto dopo il 1819 ai Frati Minori Riformati, era stato da questi ricostruito[40].

Il Padre Superiore Leone, tuttavia, non è da identificare con il padre guardiano del convento (allora il p. Luigi da Torella), bensí con padre Bernardino da Lioni, già vicario e poi ministro provinciale, capitato nel convento di Quisisana nel 1834 per motivi di riposo e poi rimasto come attivissimo ed abilissimo artefice dell’ampliamento della chiesa e del convento stesso e promotore di importanti attività della comunità[41].

Che tale p. Bernardino fosse in ottimi rapporti con il Cocle lo dimostra il fatto che effettivamente aveva destinato, se non proprio una «casina», una sorta di suite nel ricostruito convento ad uso esclusivo del monsignore, che in tal modo poteva soggiornare nella frequentata Castellammare, verosimilmente d’estate e quando il re si trasferiva a Quisisana, ed avere anche qui relazioni e contatti. Ciò risulta da una Piccola Biografia di f. Bernardino da Lioni, opera anonima del secolo XIX in parte pubblicata dal p. A. Paribello: «Nel terzo piano si fecero formare due quartini: uno nobile con anticamera e cappella, con stanza da letto, stanza da studio, con retrè e mobiliato decentemente con letto, comò, tavolini, consolle, colonnetta, sedie quante povere, altrettante pulite e comode a sufficienza. Dirimpetto al detto quartino vi si offre un salone con una tavola ben grande da servire da pranzo non solo, ma per tenervi sessioni benanche letterarie e circoli nelle ripetizioni di saggio e di sperimento di tutte le scuole. Ove osservasi ancora un ripostiglio a chiave e coverto di marmo. Appresso dalla sinistra del citato salone v’è un piccol quartino con balcone di ferro ad uso di persone di riguardo, come tutt’insieme i descritti quartini servirono per Mons. Cocle, allora confessore del Re, e che li di loro muri furono fatti covrire di carta di Francia dall’istesso Mons. Cocle»[42].

 

 

 Convento di S. Francesco a Quisisana

Dalla stessa Piccola Biografia risultano anche le difficoltà incontrate da p. Bernardino nel ’48 all’interno del convento ad opera di alcuni frati rivoluzionari: «L’anno ’48 e ’49 fu per il medesimo una vera e continua battaglia, avendo dovuto sostenere persecuzioni incalcolabili in quell’epoca cosí triste, tendente alle rivoluzioni; fu tenuto di mira, ma da chi? Da quei pochi frati medesimi che f. Bernardino s’impegnava a farli stare ritirati e per non fargli cadere nella rete, dove correvano come ciechi, de’ rivoluzionari! E per maggior sua disgrazia dovette vederne due – sacerdoti – svelti dal chiostro ed immischiarsi pubblicamente per far parte con i rivoluzionari – per carità si tacciono i loro nomi – ed anche un terziario per nome N. Considerate quali amarezze per f. Bernardino! e quanti dissapori dovette inghiottirsi»[43].

Pertanto è verosimile che i frati, sotto la spinta dei dissenzienti, avessero deliberato di non ospitare il Cocle, come vuole l’Arresto con firma A.T., che continua narrando del rifugio del monsignore presso il vescovo, della sua audacia di mostrarsi la domenica in pubblico e quindi della reazione popolare e dell’intervento della Guardia nazionale, che in quei giorni veniva riorganizzata: «Espulso il Cocle, pensò rifuggiarsi presso il Vescovo di Castellammare, e lusingato dal ricevimento e dal suo amor proprio, ebbe la baldanza di mostrarsi al palcone, e dir messa con finestra aperta: a questo accorse quel pubblico lanciandogli delle pietre, e mostrava desiderio averlo fra la mani. La Guardia Nazionale, per impedire ciò circondò il palazzo vescovile».

Anche il vescovo di Castellammare, monsignor Angelo Maria Scanzano, se non proprio un ‘coclista’, come venivano definiti sulla stampa i prelati molto vicini al Cocle, doveva aver avuto buoni rapporti con l’ex confessore del re, se ora lo riceveva nonostante fosse in disgrazia.

Certamente, nel suo caso, non bisogna pensare al tremendo giudizio che si legge nella Protesta del Settembrini nei confronti dei preti e dei vescovi del regno: «Pochissimi preti sono buoni e santi e degni che altri metta la faccia dove essi metton le piante: gli altri moltissimi, svergognatori del sacerdozio, ignoranti e piú ipocriti dei farisei, piú insolenti dei gendarmi; tra costoro il governo sceglie i piú stupidi e malvagi, li nomina Vescovi e loro affida la cura delle anime, l’istruzione, la polizia della diocesi, e la vigilanza su le coscienze di tutti. Onde i Vescovi sono potenti spie agl’Intendenti, ai Sotto-intendenti, a tutti i magistrati civili e militari, ed ai Ministri stessi: tengono le orecchie del Re e i piú accorti tengono anche le orecchie del Cocle; onde fanno quello che vogliono»[44].

Ma il clero fu spesso generalmente accusato, a torto o a ragione, di essere piú o meno palesemente reazionario, anche se al suo interno non mancarono figure imbevute di idee liberali; ed è pur vero che monsignor Scanzano in passato aveva chiesto e ottenuto l’aiuto del re e della Sacra Congregazione dei Riti per far recludere suoi sacerdoti ribelli proprio presso i Redentoristi[45], e che per questo non aveva avuto vita facile nella diocesi. Infatti, nel clima di euforia seguíto all’allontanamento di Del Carretto e Cocle, c’era stato anche sul suo conto qualche foglio volante, quale Cierte mbroglie de Castiellamare (Discorso fra un Cavaliere ed un Prelato di Castellammare avvenuto ai 30 Gennajo 1848), in cui, con qualche allusione e senza fare i nomi veri, con tono garbato e riguardoso ma fermo, lo si metteva al corrente delle accuse che gli si rivolgevano con l’auspicio che prendesse in tempo gli opportuni provvedimenti, come aveva fatto il re Ferdinando allontanando i piú pericolosi collaboratori: «I fatti che prima era delitto accennare, oggi son divenuti di pubblica ragione; e siccome in questo paese il ceto ecclesiastico ha molte aderenze, si domanda conto della persecuzione d’un arciprete, d’un teologo, d’un curato, di due insigni professori, e d’una moltitudine innumerevole di sacerdoti interdetti, sospesi, confinati, avviliti, fatti ludibrio della sfacciata plebe, e caricati d’infamie degne di malfattori. Si dice che neppure i secolari abbiano sfuggito i colpi della verga pastorale; chi per istituire una giusta causa fu calunniosamente denigrato in faccia al Sovrano; chi bandito dal paese, chi ridotto alla miseria, chi posposto a persone senza meriti; e tutto per Lei»[46].

Non c’è cenno di tutto questo, però, nell’Arresto con firma A.T., né si dice, come invece vedremo dirà il Michitelli (che tuttavia confermerà l’ospitalità accordatagli dal vescovo), che sarebbe stato proprio il vescovo a mandare la Guardia nazionale in difesa dell’incolumità del Cocle. Ci si limita a descrivere, invece, come si è visto, con discrezione forse anche cercata nei confronti dell’autorità ecclesiastica locale, il comportamento spavaldo e imprudente del Cocle che provocò il 5 marzo, di domenica, una prima violenta reazione popolare e il conseguente intervento della Guardia a sua protezione.

A.T. continua narrando delle iniziative delle autorità di polizia, del tentativo di trasferire il Cocle a Napoli, impedito dalla folla accorsa a quella stazione per impossessarsene, e poi del suo trasferimento (insieme con due misteriosi cassettini) nella «locanda della Gran Brettagna», noto albergo sulla strada nuova della Marina (oggi via Mazzini)[47]: «Il Sottintendente intanto già avea scritto al Prefetto di Polizia l’accaduto, e questo funzionario gli avea ingiunto ordine di mandarlo in Napoli; ma giunto a conoscenza del popolo, questi si portò in gran folla alla stazione ferrata di Napoli per impatronirsene. Onde evitare tumulti, e disordini, il Prefetto di Polizia spedí un secondo plico al Sottintendente, acciò l’avesse ritenuto presso di se sino a nuovo ordine. E l’istesso funzionario credé bene trasportarlo nella locanda della Gran Brettagna, e quivi farlo guardare a vista. Venuto il Cocle in cognizione di quanto si era disposto, e temendo, incominciò a piangere, ed a raccomandar la sua vita alla Guardia Nazionale, e particolarmente ad un certo D. Giuseppe Diaz, assicurando con quella faccia, atta a simulare, che egli non avea fatto male ad alcuno!!!... fu portato in detta locanda, e con lui furon trasportati due cassettini, che si presume siano pieni di monete di oro, frutto del suo onestissimo lucro!!!...».

Il prefetto di polizia era Giacomo Tofano, che l’indomani (6 marzo, giorno dell’arresto del Cocle) sarebbe stato nominato direttore.

Il sottintendente nel distretto di Castellammare era Ferdinando Salvatore Dino di Torre Annunziata, sulla cui nomina si era scagliato sin dal suo apparire Mondo vecchio e mondo nuovo (il giornale liberale piú acceso e polemico, fondato dal Petruccelli), accusandolo di conflitto di interessi, «di dar pranzi a coloro che possono dar cariche» (26 febbraio 1848) e di aver permesso abusi a danno di Carlo Fattorosi di Barnaba, di Lettere, ex-sindaco deposto in passato per liberalismo: «gli abusi sono gli stessi – e la Costituzione? la Costituzione per quei paesi è come per gli Ebrei il Messia. E dite poi che non si progredisce!» (7 marzo 1848); giudizio durissimo sui paesi dell’hinterland stabiese e sulla stessa Castellammare, che pur stava dando in quei giorni segni di partecipazione, se non a livello di autorità, almeno a livello di folla che pretendeva una volta per sempre giustizia.

Quanto ai cassettini, si tratta di uno fra i non pochi misteri che accompagnarono la vicenda. Pistole, monete d’oro, lettere segrete, tutto avrebbe potuto portare una figura ormai diventata un vero e proprio demonio nell’immaginario collettivo, nel migliore dei casi un uomo atto a simulare e dissimulare, a fingere il pianto, le convulsioni, a recitare miseramente comunque.

L’Arresto con firma A.T. accenna poi fugacemente alla venuta del prefetto in persona a Castellammare per procedere all’arresto: «Jeri 6 del corrente, il Prefetto di Polizia, personalmente si portò in Castellammare per rilevarlo, ed oro non si sà ove esista». Da notare che oro potrebbe essere probabilmente un refuso per ora (in tal caso il soggetto di esista sarebbe monsignor Cocle, sulla cui sorte dopo l’arresto A.T., al momento della stesura, non saprebbe ancora niente); ma potrebbe anche riferirsi alle monete delle quali poi non rimarrà alcuna traccia.

A.T. non aggiunge altre notizie a quelle fin qui date, forse perché davvero non conosce l’esito della vicenda, o forse perché intende redigere un ulteriore foglio l’indomani. Conclude tuttavia con il suo compiacimento per l’azione del prefetto e l’auspicio che continui nella stessa direzione: «Fratelli miei; ecco finalmente che il nostro prefetto di Polizia ha dato il primo passo sacro per la Patria. Attendiamo che progredisca contro tutti coloro che dipendevano da questo primo anello di Satana, e lo attendiamo con impazienza».

Giunti alla fine del foglio volante firmato da A.T. — non identificato e tuttavia raffigurabile, nonostante la sua evidente non celata concezione ideologica, in uno di quei «prudenti quanto caldi amatori della verità» dei quali dichiarava di avvalersi il tipografo Azzolino nella citata Protesta ai bravi lettori dei fogli volanti — ritorniamo all’Arresto senza firma, lasciato mentre monsignor Cocle era in pericolo a Somma.

Questo foglio diventa ora piú generico, parlandoci alquanto sommariamente del soggiorno del prelato presso «una casa di Cappuccini» per due settimane fino all’arresto, avvenuto in séguito alla grande reazione di tutti gli Stabiesi, accortisi della presenza soprattutto a causa della sua non interrotta corrispondenza con Napoli: «Intanto Monsignore il seguente giorno partí da Somma vestito da contadino alla volta di Castellammare dove dimorò in una casa di Cappuccini. / Ma l’uomo malvaggio e sempre tale egli era partito da Napoli ma che vi pare la sua anima non era a Napoli? non avea la sua corrispondenza con Napoli per tramare nuove insidie, e tradimenti? Ahi! questo fosse stato falso al certo non sarebbegli accaduto ciò che scrivo di fretta. Appena dimorato a Castellammare non altro che due settimane si sparse la voce che Monsignore era costà quindi sul principio s’intese un mormorio generale poi una voce, in fine un fracasso. Tutto Castellammare si pose in iscompiglio. Fanciulli, vecchi d’ogni sesso, e condizione gridavano morte all’iniquo, al traditore. A questo la forza pubblica non poté restar silenziosa. Quindi la sera del 6 si procedé all’arresto».

Come si può vedere, esso non concorda con l’Arresto con firma A.T., in quanto parla della casa dei Cappuccini come unico luogo di soggiorno del Cocle, per due settimane, dall’arrivo a Castellammare fino all’arresto; inoltre non accenna ai rapporti col vescovo, né al ruolo avuto dalle autorità di polizia, né ai momenti che precedettero l’arresto. Ciò fa ritenere il compilatore non bene informato sulla permanenza del monsignore a Castellammare, tanto piú che a favore dell’ospitalità accordata dal vescovo incide la descrizione del Michitelli. è vero che le notizie circolanti sul caso dovevano essere tante, vaghe e contrastanti, ma egli sembrava piú intenzionato a mostrare gli intrighi del terribile prelato e le reazioni del popolo (queste ultime descritte in verità con efficacia pur nella brevità del racconto), che non i particolari della vicenda.

Se tuttavia si volesse dar credito alla durata di due settimane indicata per la permanenza a Castellammare fino all’arresto, il Cocle dovrebbe esservi arrivato intorno al 20 febbraio, cosí come potrebbe essere arrivato intorno al 12 dello stesso mese a Somma dove avrebbe soggiornato «pochi giorni»: le precedenti due settimane a partire dal giorno 27 gennaio (o da qualche giorno prima) le avrebbe quindi passate di nascosto a Napoli. Ma questa è una ricostruzione non certa dei circa quaranta giorni che intercorrono dal 27 gennaio (o poco prima) al 6 marzo.

L’estensore dell’Arresto senza firma prosegue con la notizia dell’imbarco e del presunto pianto, promettendo di continuare la cronaca su un successivo foglio e chiudendo lo scritto con personali considerazioni: «Fu preso Monsignore da un drappello di Soldati per ordine Sovrano e posto sul Vapore Nettuno; l’istesso Vapore che ebbe la bella sorte di portare il suo Del Carretto. Giunto Monsignore sul Vapore si dice, che avesse pianto. Ma che credete pel suo arresto? Forse ... Ma credo piú fondato perché dovea lasciare le sue ricchezze ed il dispotismo, ed il suo orgoglio, e la protezione, ed i tradimenti e la Passarella. Ma si domanderà, dove anderà Monsignore? dovrà esser esiliato, quindi dovrà andare ramingo derelitto senza amici senza patria. Ma dove? Con altro foglio vel dirò. Per ora questo. Per me che scrivo dico che gli accadrà lo stesso che al suo compagno del Carretto avvenne. Sarebbe stato molto meglio spedirlo a Roma direttamente, che far vagare pel mondo intero una macchina obesa, e maliziosa».

 

 

 Piazza del Vescovato a Castellammare
Disegno di A.
Senape (Coll. privata)

Esaminati i due fogli volanti, giova, a confronto e completamento, riprendere la testimonianza del Michitelli, della cui rilevanza già si è detto, in piccola parte già anticipata, anche attraverso qualche riscontro.

Sul soggiorno a Castellammare, il Michitelli, pur mostrandosi stringato, conferma — come si è visto — l’episcopio come luogo di rifugio, senza accennare al convento dei Cappuccini, e in piú asserisce che la Guardia nazionale fu mandata a difenderlo dallo stesso vescovo: «Allora riparò egli all’episcopato di Castellammare: ma scoperto, fu assalito da que’ popolani, e ne sarebbe andato in pericolo la sua vita, se non accorreva a tempo la guardia nazionale, dalla quale quel vescovo lo fece guardare a vista; sino a che il governo risolvette di espellerlo deffinitivamente da Napoli e dal regno: e mandò il prefetto di polizia a Castellammare con ordine di farlo partire per Malta»[48]. Merita per di piú attenta considerazione, nel passo, anche l’affermazione che proprio e solo in quell’occasione «il governo risolvette di espellerlo deffinitivamente da Napoli e dal regno», in quanto tocca un importante aspetto formale del caso Cocle.

Appare inoltre bene informato e preciso sulla partenza. Egli prima riferisce l’episodio: «E su quell’istesso piroscafo il Nettuno che aveva trasportato in Francia Delcarretto, fu imbarcato pure monsignor Cocle. Il vapore da Napoli giunse a Castellammare alle undici meno un quarto. Monsignore si era coricato, e quando gli fu imposto che bisognava partire, protestò, pianse, maledisse il re, chiamò eccessivo e dispotico il suo ostracismo, e cadde in convulsioni o finse: ma ciò non gli valse. Il prefetto lo fece alzare e vestire, e lo accompagnò sino al luogo dell’imbarco»[49]. Poi, a questo punto, richiama e riporta una Lettera di Giacomo Tofano al suo amico Girolamo Magliano, quanto mai interessante e significativa per i dettagli riferiti e per l’autorevolezza della testimonianza: «Monsignore che protestava la sua innocenza proclamando che sin da’ primi giorni del passato dicembre erasi allontanato dalla Reggia consigliando che si desse una Costituzione al paese: Monsignore che chiamava eccessivo e dispotico il suo ostracismo incolpando il Re d’ingratitudine, agglomerando parole su parole vuote di senso e di verità: Monsignore che discese sin alla viltà delle lagrime, permise cosí che io coscienziosamente il definissi, e fui convinto di esser egli pur troppo meritevole della pubblica indignazione. Peccato che quasi sempre tali uomini debbano avvicinare i Re!!! / Egli dapprima, credendo di eludere la sollecita partenza, disse di trovarsi privo di mezzi ed all’intutto sfornito di danaro: ed io pregai il sottintendente che gli passasse ducati dugento. Dipoi (ritardando il Vapore a venire, mentre giunse a Castellammare alle undeci meno un quarto), si coricò, e quando gli fu imposto che bisognava partire, cadde in convulsioni o finse di essere convulso: ma ciò nulla gli valse. Fu giuocoforza che si vestisse e s’imbarcasse alla mia presenza, né mi sarei di là partito finché tanto non si fosse praticato, ciò imponendo il mio dovere cui fui sempre sacro»[50].

Dalla lettera viene anche fuori un Cocle che annaspa per cercare di cavarsela in una situazione incredibile per un potente, che riesce fino all’ultimo a trovare espedienti e mezzucci, piangendo, simulando convulsioni, facendosi perfino passare dal prefetto e dal sottintendente duecento ducati. In contrapposizione, il prefetto vuole apparire come il sostenitore della dignità e della virtú, il difensore della legalità, il rappresentante del nuovo ordine stoicamente consacrato al dovere. Ma si consideri che il Petruccelli, nel suo accenno all’arresto e alla partenza del Cocle, darà un’altra versione sul comportamento del Tofano, il quale si sarebbe fatto consegnare dal prelato «grosse somme» e delle lettere scrittegli «dal suo santo penitente» per poi venderle a quest’ultimo: «Questo ribaldo che tanta parte aveva rappresentata nelle sventure di quel disgraziato paese, spaventato si nascose e poscia si salvò a Castellamare. Ma indi a poco, scovertasi la sua tana, perseguitato dalla paura, inviso ai liberali ed al Borbone, dopo aver pagate grosse somme al direttore della polizia, che andandogli a significare di allontanarsi dal regno, ebbe interesse di atterrirlo di strana maniera, dopo avere consegnate le lettere scrittegli dal suo santo penitente, e che dal direttore Tofano erano poi a costui vendute, travestito, rinnegando il suo nome, partí per Malta nel mezzo della notte»[51].

Vale la pena scorrere anche la stampa di quei giorni e osservare i significati che poteva a volte assumere la vicenda, le reazioni che poteva suscitare.

Mondo vecchio e mondo nuovo del 6 marzo non si lasciava sfuggire l’occasione di riportare la notizia del clamoroso avvenimento del giorno prima, con qualche variante rispetto all’Arresto con firma A.T. (l’uscita in carrozza invece del «mostrarsi al palcone, e dir messa con finestra aperta», una casa invece dell’albergo) e con la preoccupazione che la notte il Cocle sarebbe già passato a Napoli, oltre che con la pungente allusione ai passerini: «Allegramente! O voi che amate la salute dell’inspirato D. Celestino. Ieri, domenica, Egli era in Castellammare ed usciva nella carrozza del Vescovo a prendere un pò d’aria. Il popolo a tal vista schiamazzò, s’ammutinò, e prese le pietre. D. Celestino però fu posto in salvo dalla Guardia Nazionale di quella città in una casa, alla cui porta si misero delle sentinelle, e il tumulto fu sedato. Ora vengono le buone notizie. La notte scorsa, D. Celestino dovrebb’essere venuto in Napoli! Allegramente, amici! D. Celestino è in mezzo a noi; dove lungi dall’aver bisogno di guardia, potrà divertirsi coi suoi passerini!».

Il 7 marzo il quotidiano I Ficca-naso annunciava anch’esso l’arresto e rivelava il rinvenimento di un plico con «documenti preziosissimi d’una celebrità singolare» a lui indirizzato: «Mons. C. si vuole arrestato in Castellamare – e sorpreso un piego a lui diretto – Siccome il segreto delle lettere è inviolabile – cosí si è fatto parità a suggellarlo; considerando però che Mons. C. è un’uomo fuori legge, si è aperto – Si vuole che in esso teneansi documenti preziosissimi d’una celebrità singolare – e documenti per la storia. Vedete non li ho letti».

Nello stesso giorno Mondo vecchio e mondo nuovo rassicurava i lettori sulla partenza per Malta, e sfiorava con qualche avvertimento l’argomento della corrispondenza trovata: «Dopo l’avvenimento di Domenica a Castellamare, la notte scorsa l’amorevolissimo D. Celestino è partito per Malta. Noi vogliamo tirare un discreto velo sulla corrispondenza trovatasi sopra di lui, che gli interessati però stiano in guardia perché saranno conosciuti».

Lo stesso giornale il giorno dopo precisava con maggiori dettagli e forte ironia i momenti culminanti dell'evento: «Benedicamus Domino! L'altra notte a Castellammare il venerabile D. Celestino era invitato dal Prefetto di Polizia a lasciare il suo letto, vestirsi ed imbarcarsi subito. Alle sue negative, il Prefetto dall'invito passava alla significazione d'un ordine positivo, irrevocabile. Il venerabile, la cui coscienza è netta d'ogni macchia, com'ei diceva, da vero martire si rassegnò. Fiat voluntas Domini! E scortato da gente con fiaccole e da numerosa Guardia Nazionale s'imbarcò sul Nettuno. Procedamus in pace! Disgraziatamente per lui, un suo cassettino, nel quale conservava due pistole di devozione, sparí. Il Nettuno giunse nella nostra Darsena, dove il venerabile, senza incomodarsi a discendere a terra, ricevette il suo passaporto per Malta, come ultra-liberale, e partí a quella volta. Dies irae, dies ille! Ahi! Miseri uccelletti! dolcissimi passerini! Avete perduto chi tanta cura prendeva di voi! volate, traversate il mare, il vostro nido è in Malta. Ne obliviscaris! Oh! non piú mitologico, ma storico Nettuno! Tu che trasportasti già qualche centinaio di assassinelli e ladruncoli a Tremiti, tu eri destinato a trasportare il Marchese a Marsiglia, e D. Celestino a Malta! Deh! compisci l’opera santissima, e presto ci libera dalla folla dei rivali, imitatori e allievi di quelle due celebrità del secolo decimonono, e sarai temuto quale Dio del Mare. Amen!!!».

Il 9 marzo Il Vapore, giornale liberale moderato, riferiva scherzosamente: «è notizia comune ed autentica che monsignor Cocle arrestato in Castellammare sia stato spedito a Malta per mezzo del vapore il Nettuno. Si vuole che questo legno, condannato da qualche tempo a queste tristi funzioni, allorché sarà reduce da Malta, si farà stare per cinque giorni in quarantana onde disinfettarlo dal contagio che gli si è aderito negli ultimi due viaggi, né si presterà a far nuovi camini se pria dall’autorità Ecclesiastica non siano fatti solennemente gli esorcismi, onde liberarlo da’ maligni spiriti che vi fecero soggiorno».

Il lume a gas (anch’esso liberale moderato, stampato da Gaetano Nobile) nella stessa data assicurava celiando: «Il Capitano del Vapore sul quale è stato imbarcato monsignor Cocle ha avuto ordine che se quel prelato non è ricevuto in Malta lo portasse in Barberia».

Ancora il 9 marzo, il primo numero di Critica e verità parlava di un Rendimento dei Conti da attuarsi con la confisca del patrimonio del Cocle: «Del danaro di Monsignor Cocle si leveranno i debiti di tutti gl’inquilini (che sono assai in questa Capitale)».

Il quotidiano I Ficca-naso dava la notizia della partenza in prima pagina il 10 marzo, lamentandosi degli inspiegabili silenzi della polizia: «Finalmente si è congedato dalle Sebezie rive il figlio spurio del buon Padre Liguori; un vapore lo ha accolto con tutto il rispetto e le considerazioni che si dovevano per tanto uomo onesto, l’opera de’ prodigî del governo passato, il fabbro di controrivoluzioni! – Mons. Cocle con tutto il suo equipaggio è partito per Malta. La polizia Costituzionale che ha interpretato, il velo densissimo sul passato, applicabile ancora sul presente, – ci fa un mistero di tutto – lasciandoci nell’ignoranza de’ piú belli capolavori della scuola Delcarrettesca – plichi, corrispondenze – cannoncini, uniformi – fucili – ecc. L’interpretazione della Legge debb’essere espansiva, quindi velo impenetrabile sul passato, notte eterna sul presente. / Intanto siamo accertati che l’amico non voleva partire – e obbligato, domandò, per dove? al che si rispose per Malta. A Malta!! e Carlo che dirà?... Scongiurò quindi si cangiasse il suo destino – ma indarno: egli è felicemente partito – Sette lettere di raccomandazioni ai buoni fratelli della libertà, precedono il suo arrivo».

L’11 marzo su Critica e verità si parlava di Furie popolari con la rinnovata e minacciosa richiesta di confiscare i beni: «Col popolo, che reclama i suoi diritti non si deve affatto scherzare. Il Gesuitismo [...] è stato scacciato. Ecco una peste in meno [...]. A queste utili sottrazioni dal novero dei buoni cittadini aggiungi pure l’Arresto di Monsignor Cocle [...]. Si procede a gran passi e non ci quieteremo se non vedremo confiscati i beni dei passati ladri in dignità, e se non vedremo smontata tutta la vecchia macchina».

Intanto uscivano altri fogli volanti sull’esito del caso Cocle.

Mauro Musci, che con lo pseudonimo Scimamu fu uno dei piú accaniti e feroci contro Del Carretto e Monsignore, continuava coi suoi divertissement. In un foglio recitava Il Pater Noster per l’accompagnamento del viaggio di Monsignor Cocle a Malta: «Pater, finalmente tu parti vai all’esiglio per comune salvezza, ma ohimè! ten vai senza restituirci il noster – e come, con qual coscienza ti assicuri per mare, senza tema che il qui est in coelis non t’innabissa con qualche tempesta? / A che ti vale far piú il santificetur se ai spogliato il regno intero delle due Sicilie, ed all’ultimo ti volevi cooperare a farci uccidere per assicurarti maggior guadagni? / [...] perciò pensaci bene che se per poco sappiamo dove ai rimasto il deposito delle tue ch’erano nostre ricchezze [...] ci riprenderemo con forza, quel tanto che con bigotteria per molti anni ci ai tolto»[52]. In un altro fingeva di riportare «per copia conforme» Una lettera che à scritto da Malta Monsignor D. Celestino a Morbillo e Campobasso datata 16 marzo, contenente un farsesco resoconto del difficilissimo viaggio con chiare aspettative di controrivoluzione: «Non vi potete figurare dilettissimi miei che tempesta continua che soffrí il Vapore Nettuno, appena giunse alle bocche di Capri, fino a tanto che si poté a grave stento angorare nel porto di Malta – pareva che avesse portato a bordo, tutto l’Inferno, si grande era il dispetto e la collera che moveva il mare per dovunque si passava – non mi son convinto perché tutto ciò, è accaduto, standoché non mi parea che fossi arrivato ad essere una persona si terribile e tremenda, da sconvolgere la natura – ma se non vado errato, pare che io son giunto ad un merito tale da far paura all’universo. [...] Vi ringrazio d’avermi fatto capitare appena qui son giunto, graziosissime lettere, ove mi mettete a giorno dei continui progressi che fà il piano d’una Controrivoluzione che per tutti i Diavoli, dovrà o presto o tardi succedere nel Regno di Napoli – per cosí veder in naufragio la nostra nemica crudele, la Costituzione»[53].

Un foglio satirico con quattro versi in fine e senza firma, Morte di Monsignor Cocle, raccontava l’arrivo e l’accoglienza a Malta: «Appena che l’eminentissimo Monsignor Cocle fu arrestato dalle guardie in Castellammare, fu tosto messo su d’un vapore ed indi trasportato a Malta. Giunto in questo luogo fu accolto dal popolo con grande festa pel solo motivo di volersi beffare, e vendicare della sua maligna ed insocievole persona: infatti calato che fu nel porto di Malta, numerosa plebe gli accorse d’intorno e strappatolo dalle mani di quelli che ivi l’avevano condotto, all’istante lo misero su d’un carro, affin di portarlo come in trionfo per tutta la città. Scherzavano sopra di esso, lo criticavano, e financo gli scagliavano delle piccole pietre, corteccie, e con musiche di fischi lo accompagnavano, onde non ammazzarlo, ed insieme divertirsi su tale pervertito ed infame soggetto»[54]. Tale foglio, uscito dalla tipografia di Francesco Azzolino cosí come l’Arresto con firma A.T., sembrerebbe esserne l’aggiornamento; ma il tono e lo stile lo fanno ritenere piú probabilmente la continuazione promessa in chiusura dell’Arresto senza firma, acquistata e stampata dall’Azzolino.

In un dialogo intitolato Sulla Torre di Babele si sfogava l’amarezza per l’autorità ministeriale che non si era mossa adeguatamente, soprattutto contro don Celestino: «Dovea in prima sbarazzarsi fino all’ultima stirpe de’ despoti, ed in cambio che fece? zittí, quando noi dannammo all’oblio con grida e con cartacce esseri pregiudizievoli, e nel suo silenzio gli oppressori pacificamente pensavano a trasportar il prodotto del sangue degli infelici nostri fratelli in luogo piú sicuro. Anzi vi fu alcuno che andò a far la sua passeggiata nella deliziosa Castellammare...»[55].

Qualche foglio ipotizzava persino che non fosse mai andato a Malta e si trovasse ancora nel regno.

 

 

 Il vapore «Nettuno». 
Acquerello di Ignoto (Napoli, Museo San Martino)

Accenniamo brevemente, in conclusione, a quel che accadrà ai personaggi e nei luoghi della nostra vicenda, dopo l’arresto e la partenza di monsignor Cocle.

Il prefetto Tofano, nominato il 6 marzo direttore di polizia, sarà anche consigliere della Corte suprema di Giustizia, tenente colonnello della Guardia nazionale e altro ancora; ma deluderà le aspettative. Mondo vecchio e mondo nuovo il 29 marzo scriverà nella rubrica Si dice: «Il sig. Tofano persuaso infine che il paese, al quale ha dato di sé brutte prove, non lo vuole né punto né poco, ha presentato due mezze dozzine di dimissioni; l’una cioè degl’impieghi noti e l’altra di quelli non conosciuti da tutti». Ritenuto responsabile dei disordini del 28 marzo, sarà esonerato e si allontanerà da Napoli. Il 10 aprile La Pietra infernale, nel Si dice del suo primo numero, non gli risparmierà la sua ironica attenzione: «Si dice che il sig. Tofano sia risoluto di aggregarsi fra i Trappisti di Algieri, e che il sig. Cocle lo voglia seguire; perdonandolo dell’arresto che gli fu fatto».

Il sottintendente Ferdinando Salvatore Dino sarà ancora attaccato da Mondo vecchio e mondo nuovo. Nell’aprile, in accoglimento della sua rinunzia, sarà sostituito da Gaetano Colombo.

Il vescovo Scanzano incontrerà delle difficoltà sia per la difficile situazione politica sia per problemi interni allo stesso clero e non vedrà nominati vescovi due canonici stabiesi, di uno dei quali egli stesso aveva dato l’annuncio pubblico[56].

Intanto ci sarà un risveglio rivoluzionario anche a Castellammare, dove da qualche anno «una parte della borghesia, benché minima ed in opposizione col resto degli abitanti, s’era destata dal suo annoso letargo, e, incominciando ad aver coscienza delle sue forze, che giacevano latenti, e ad ispirarsi in una idea nobile e grande, volle sorgere a nuova vita»[57].

In questo clima, in verità non sempre ispirato e talvolta confuso, a cominciare dall’episodio Cocle, drammatica sarà la situazione per p. Bernardino da Lioni, che, secondo il racconto della Piccola Biografia, e forse proprio per i suoi stretti legami col monsignore, sarà minacciato dai rivoluzionari uniti ad alcuni frati e costretto a scappare, fuggendo da un convento all’altro, finché non ritornerà di nascosto nel convento di Castellammare per evitarne il saccheggio: «Già minacciato a maltrattarlo, fu per un preventivo avviso di buoni cittadini di Castellammare stesso che gli raccomandarono a salvarsi e fuggirsene, come già se ne fuggí [...] finché la necessità l’obligò di accorrere ad altri estremi mali che in Castellamare tentavano di commettere dentro del convento i rivoluzionari – avendo già ordito di volerlo spogliare – e sempre per insinuazione di quei suddetti indicati frati sacerdoti e terziario, avendo inventato di sapere dove stavano riposte l’elemosine in gran somma e l’argenteria della comunità, e di spogliare ancora il quartino di Mons. Cocle confessore del Re – in allora – che vi teneva sopra i 2mila ducati di nobilissimo mobilio ad uso del suddetto Cocle. Tosto si partí di notte e di notte arrivò e si tenne nascosto nella sua stanza. Ma anche gli giovò il nascondersi se tosto ne volò a’ rivoluzionari la notizia del ritorno del Provinciale – perché 2 de’ suddetti traviati frati stavano di residenza in Castellammare – e presto la mattina de’ 13 maggio del 48 fu assalito il convento e due de’ demagoghi a mano armata ne andarono in cerca per discacciarnelo – o commettere altro delitto –; ma f. Bernardino si seppe tener ben riservato e nascosto per tutto quel giorno e sino all’oscura notte, quando passò altrove, ma senza uscire da Castellammare»[58].

Successivamente, coi sanguinosi eventi del 15 maggio a Napoli, si metterà fine a tutte le speranze e a tutte le attese dei sei mesi precedenti. Anche Castellammare in quella giornata vivrà un suo infruttuoso momento di ardore, se pure limitato e contenuto[59].

La rivoluzione sarà sconfitta. Padre Bernardino potrà riavere la sua tranquillità: «Venne la Providenza di Dio, venne la mattina del 15 maggio, giorno memorando e di memoria immortale di Ferdinando II! che diede il taglio al nodo gordiano e sbaragliò col cannone i rivoluzionari, e salvò il Regno di Napoli e quasi tutta l’Europa. E f. Bernardino riacquistò la sua calma»[60].

Come lui tutti quelli che erano stati sconvolti dall’abnorme situazione politica potranno ritornare alle abitudini consolidate di gestire la vita, le attività, il potere.

Anche Castellammare potrà sperare di riacquistare la sua ‘pace’, dopo i colpi accusati nelle attività turistiche: «La gente di Castellammare e dintorni era sempre stata ardentemente monarchica; l’assenza di turisti e la conseguente crisi economica di cui aveva sofferto in quel tribolatissimo anno, aveva fatto sí che diventasse anticostituzionale e controrivoluzionaria. ‘Chi’, dicevano, ‘ha allontanato i Lord inglesi e i principi russi e tedeschi che ci davano da mangiare, che ci arricchivano? Chi, se non i rivoluzionari? Da quando è stata data la Costituzione, non abbiamo piú avuto né benessere né pace. Noi non vogliamo la Costituzione: vogliamo la pace e il ritorno dei forestieri. Le nostre case sono vuote, i nostri cavalli e i nostri asini non lavorano’»[61].

Ci sarà nel regno una vera restaurazione. Tra l’altro, con decreto reale del 25 maggio verrà regolata la stampa di giornali e periodici e sottoposta ad approvazione preventiva la diffusione dei fogli volanti, che pertanto caleranno enormemente di numero.

Anche la Chiesa napoletana vorrà risanare guasti e ferite, secondo il racconto di Giuseppe Buttà: «La rivoluzione trionfante avea eziandio vulnerata la disciplina ecclesiastica, e fu giudicato necessario che i diocesani avessero fatto sentire la loro voce al clero. Per la qual cosa si tenne in questa città un’adunanza episcopale composta del Cardinale Arcivescovo di Napoli e de’ vescovi di S. Agata de’ Goti, di Castellammare, di Aversa, d’Andria e di Nocera. Quell’adunanza arginò tanti mali, ma le rivoluzioni ne arrecano di quelli riparabili dal solo Dio!»[62].

Molti pagheranno duramente per essersi lasciati infiammare da idee di progresso e di rinnovamento; anche i frati ‘rivoluzionari’ che abbiamo incontrato.

Altri invece ritorneranno dai luoghi dove erano stati esiliati come anticostituzionali. Tra questi monsignor Cocle: «Piú tardi egli ancora ritornava. Egli ancora, come il Santangelo, il Ferri ed altri ladroni famosi, veniva con insigne cinismo a mangiarsi le sostanze del povero sfrontatamente rubate, e veniva a sberteggiare su i cancelli delle prigioni coloro, lo sdegno dei quali aveva dovuto fuggire. E re Ferdinando li perdonava tutti perché in faccia a lui essi non erano colpevoli, perché egli stesso aveva bisogno di perdono da coloro che tutta la sua nefanda storia conoscevano, perché aveva bisogno di soffocare in essi una voce che poteva rimbombare per tutta Europa»[63].

Ancora un foglio volante, Una parola in segreto al ministero ma d’interesse pubblico, firmato R.P., aveva recitato: «E noi li credevamo andati a spasso ... Oh Dio che inganno»[64].

Il Cocle condurrà una vita piú appartata. Nell’ottobre del 1849, tuttavia, accompagnerà a Pagani Pio IX e parte della famiglia reale. Morirà nel 1857 a Napoli[65].

 


 Post fata resurgo

 

NOTE

[1] Cfr. il catalogo della libr. antiquaria L. Regina di Napoli Biblioteca storica meridionale, V serie, 1° fasc., Napoli 1999, p. 153, n. 333.

[2] Napoli, Soc. Nap. di St. Patria, Stampe politiche napoletane del 1848, X. 2. 8. 257.

[3] G. De’ Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, I, Roma 1863, p. 257.

[4] Cfr. M. U. Maynard, Jacques Crétineau-Joly, sa vie politique, religieuse et littéraire, d’après ses mémoires, sa correspondance et autres documents inédits, Parigi 1875.

[5] N. Nisco, Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, II: Ferdinando II, Napoli 1908, p. 33.

[6] F. Petruccelli della Gattina, La rivoluzione di Napoli nel 1848, Venosa 1990, p. 80.

[7] L. Settembrini, Ricordanze della mia vita e Scritti autobiografici, Milano 1961, p. 531.

[8] L. Settembrini, Protesta del popolo delle Due Sicilie, Cosenza 1993, pp. 32-33. L’efficace immagine dantesca egli la riproporrà sostanzialmente anche nelle Ricordanze: «Un altro ne aveva le chiavi del cuore, e le volgeva e rivolgeva a sua posta, il suo confessore, monsignore Celestino Cocle, dell’ordine di Sant’Alfonso, che tutto poté, tutto vendé con furba improntitudine di frate» (L. Settembrini, Ricordanze ..., op. cit., p. 46).

[9] L. De Samuele Cagnazzi, La mia vita, Milano 1944, pp. 279-280.

[10] Cfr. H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861), Milano 1962, p. 208. Per il testo orig., cfr. Correspondence respecting the affairs of Italy presented to both Houses of Parliament by command of Her Majesty, I: 1846-1847, London [1848?].

[11] L. Settembrini, Ricordanze ..., op. cit., pp. 161-162. Lo stesso Settembrini, nel passo della Lettera a Pio IX in parte già citato, aveva affermato: «Re Ferdinando non vuole udire [...] gli abbiam detto molte volte e in molti modi [...] che allontani da sé il Cocle infernale consigliere di iniquità, ed il Del Carretto feroce ed impudico operatore di tutte le nefandezze» (L. Settembrini, Ricordanze ..., op. cit., p. 531).

[12] Cfr. il rapporto del Dupont per il ministero degli Esteri francese, pubblicato da A. Stern in Geschichte Europas von 1830 bis 1848, Stuttgart u. Berlin 1911, III, pp. 611-13.

[13] G. La Cecilia, Storie segrete o misteri della vita intima dei Borboni di Napoli e Sicilia, II, Palermo 1860, p. 795.

[14] Cfr. H. Acton, Op. cit., p. 233. Per il testo orig., cfr. Correspondence respecting the affairs of Italy presented to both Houses of Parliament by command of Her Majesty, II: From January to June 30, 1848, London [1849].

[15] F. Petruccelli della Gattina, La rivoluzione di Napoli nel 1848, Venosa 1990, p. 80.

[16] R. de Cesare, La fine di un Regno, Milano 1969, p. 240.

[17] F. Petruccelli della Gattina, Op. cit., p. 81.

[18] L. De Samuele Cagnazzi, Op. cit., p. 280.

[19] L. De Samuele Cagnazzi, Op. cit., p. 281.

[20] Cfr. F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti di Napoli fino a tutto il 15 maggio 1848, Italia [ma: Napoli] 18492, pp. 377-378.

[21] Cfr. H. Acton, Op. cit., p. 234. Per il testo orig., cfr. Correspondence ..., II, op. cit.

[22] F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti ..., op. cit., p. 187.

[23] A. Scirocco, Il 1848 nel Mezzogiorno, in Il 1848 a Napoli. I Protagonisti, la Città, il Parlamento, Napoli 1994, p. 6.

[24] G. Paladino, Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano-Roma-Napoli 1920, p. 32, n. 1.

[25] Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 32. 59.

[26] Napoli, Soc. Nap. di St. Patria, Stampe politiche napoletane del 1848, X. 2. 8. 261.

[27] G. De’ Sivo, Op. cit., p. 257.

[28] L. Settembrini, Ricordanze ..., op. cit., pp. 194-195.

[29] F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti ..., op. cit., pp. 143-144.

[30] Stampò un buon numero di fogli volanti, tra cui: un’accusa di P. D. su abusi nello stabilimento di S. Gennaro dei Poveri; un Trascurzo ntra lo Mercato e lo Pennino di M. G. sulla costituzione; una protesta firmata Cola Pesce contro gli attacchi alla religione con l’esortazione a confidare in Dio, nel re e nella costituzione; Il tesoro de’ Gesuiti, accusa di G. M. ai Gesuiti. Stampò anche un trisettimanale, L’Occhiale, a partire dal 3 marzo. Curò egli stesso un Notiziario delle cose avvenute l’anno 1848 nella guerra siciliana. Tra l’altro proprio nella sua tipografia veniva denunciata la stanchezza per le troppe poesie sugli avvenimenti del momento; e, mentre il poeta Tommaso Bonito cantava Ciuccie seccante assaie Fenite d’arraglià, scese in trincea con Lo ncojetatore de la commerzazione lo stesso Ciccio Azzolino, «n’arruzzuto stampatore che avenno ntiso arraglià tanta ciuccie, primme de lo mese de maggio, se piglia isso pure la licenzia da lo Nummo Apollo de mpacchiare sta canzona» (Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 34. Versi).

[31] Napoli, Soc. Nap. di St. Patria, Stampe politiche napoletane del 1848, X. 2. 8. 268.

[32] Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 32. 365.

[33] Napoli, Soc. Nap. di St. Patria, Fogli volanti. Versi.

[34] Roma, Bibl. di St. Mod. e Contemp., Bandi. B. 2. 244.

[35] Roma, Bibl. di St. Mod. e Contemp., Fo. Ris. III. A. 17. 111

[36] Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 32. 196; Soc. Nap. di St. Patria, Stampe politiche napoletane del 1848, X. 2. 8. 98.

[37] Napoli, Soc. Nap. di St. Patria, Stampe politiche napoletane del 1848, X. 2. 8. 99.

[38] L’allusione al chiacchierato rapporto di Monsignore con la famiglia Passaro è evidente. Cfr. la Protesta del Settembrini: «Vassene a trovare una sua figlioccia, che è figliuola di un tal Passaro, suo compare e cagnotto [...] Un magnifico palazzo si ha costruito nel luogo piú bello della città, e ne fa comparir padrone Carmelo Passaro suo figlioccio» (L. Settembrini, Protesta ..., op. cit., p. 32). L’allusione ai ‘Passeri’, ai ‘Passerini’, alla ‘Passarella’, ecc. ricorre molto spesso nei giornali e nei fogli volanti.

[39] F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti ..., op. cit., pp. 187-188. Nella riedizione del 1860 come secondo volume di piú ampia opera, il Michitelli inserirà tra «risposero che» e «per carità» anche le motivazioni del rifiuto addotte dagli intendenti: «dopo l’esempio di Monsignor Grasellini venuto di Roma e cacciato a fischi da Avellino». Cfr. F. Michitelli, Storia delle rivoluzioni ne’ reami delle Due Sicilie, II, Italia 1860, p. 244.

[40] Cfr. p. A. Paribello, La Famiglia Francescana a Castellammare di Stabia, Quisisana 1977.

[41] Cfr. p. A. Paribello, Op. cit., p. 82 e segg.

[42] Piccola Biografia di f. Bernardino da Lioni, in p. A. Paribello, Op. cit., pp. 98-99.

[43] Piccola Biografia ..., in p. A. Paribello, Op. cit., p. 106.

[44] L. Settembrini, Protesta ..., op. cit., p. 75.

[45] G. Celoro Parascandolo, I Vescovi e la Chiesa Stabiana dal 1800 al 1997, Castellammare di Stabia 1997, pp. 48-49.

[46] Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 32. 323.

[47] «Albergo della Gran Brettagna. Sulla strada nuova della marina allato la porta del Quartuccio ed incontro il Vesuvio stà posto questo elegante albergo la veduta godendo la piú deliziosa ed amena del cratere e dei monti. I tre grandi e nobili appartamenti e 1 altro minore che desso contiene circa 30 stanze possono avere da letto tutte elegantemente mobiliate – Il palazzo è di proprietà dei signori Vingiani che sin dal 1834 facevano valere a proprio conto questo albergo sotto la denominazione di Grande Albergo di Londra e Trattoria – ed ora vien tenuto dai signori Viet e Denza – Il gusto e la decenza e la esattezza del trattamento che ne sono annunziati di piena soddisfazione lo promettono e non ne ismentiranno al certo la vantaggiosa rinomanza passata anzi ci auguriamo che viemmaggiormente gliela accrescano» (C. Parisi, Cenno storico-descrittivo della Città di Castellammare di Stabia, Firenze [ma: Napoli] 1842, p. 74).

[48] F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti ..., op. cit., p. 188.

[49] F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti ..., op. cit., pp. 188-189.

[50] F. Michitelli, Storia degli ultimi fatti ..., op. cit., pp. 377-378.

[51] F. Petruccelli della Gattina, Op. cit., pp. 80-81.

[52] Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 33. 248.

[53] Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 32. 197.

[54] Napoli, Bibl. Naz., SQ. IV. L. 32. 198.

[55] Napoli, Soc. Nap. di St. Patria, Stampe politiche napoletane del 1848, X. 2. 8. 230.

[56] Cfr. G. Celoro Parascandolo, Op. cit., pp. 51-52.

[57] M. Salvati, Castellammare di Stabia dal 1848 al 1860, Napoli 1910, p. 10.

[58] Piccola Biografia ..., in p. A. Paribello, Op. cit., pp. 106-108.

[59] Cfr. M. Salvati, Op. cit., pp. 11-14.

[60] Piccola Biografia ..., in p. A. Paribello, Op. cit., p. 108.

[61] Cfr. H. Acton, Op. cit., p. 309. Per il testo orig., cfr. C. MacFarlane, A Glance at Revolutionized Italy, London 1849, pp. 179-180.

[62] G. Buttà, I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli, II, Napoli 1877, pp. 691-692.

[63] F. Petruccelli della Gattina, Op. cit., p. 81.

[64] Napoli, Bibl. Naz. SQ. IV. L. 34. Versi.

[65] Monsignor Cocle è sepolto nella chiesa dei Redentoristi di S. Antonio in Tarsia, dove si conserva anche un suo busto in marmo. Esiste una pubblicazione sulle cerimonie svolte in occasione della sua morte: F. S. Pecorelli, Ultimi uffizj resi alla veneranda memoria di mons. Celestino M.a Cocle della Congregazione del SS. Redentore ed arcivescovo di Patrasso nella chiesa de’ PP. Liguorini di S. Antonio a Tarsia, Napoli 1857.

 

(Da Città di Castellammare di Stabia / Comitato per gli Scavi di Stabia, "Studi stabiani in memoria di Catello Salvati", 1. Miscellanea, Castellammare di Stabia, Nicola Longobardi Editore, 2002, pp. 125-154)

(Fine)

Questo studio ora appare —riveduto, aggiornato, ampliato— nel volume edito nel 2006 a Castellammare di Stabia da Nicola Longobardi Editore

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