Stabiana (Iosephi Centonze Paginae)  ~  Homepage  Letteratura e Territorio

 

GIUSEPPE CENTONZE

Ciucci e ciucciari
nella Castellammare dell'Ottocento

(1997)

 

 

Vi sono aspetti della realtà quotidiana e modi di pensare, di sentire e di essere dell'uomo comune, che hanno certamente un loro rilievo nella vita civile e sociale di un popolo o di un paese, ma che la storiografia, più attenta alle grandi e ‘memorabili’ vicende, ha spesso trascurato e condannato all'oblio.

Per fortuna, alcune fonti letterarie hanno in qualche modo rimediato alla damnatio, svolgendo sotto questo profilo un ruolo non secondario, peraltro riscoperto e molto valorizzato. Tra esse, le pagine tratte da diari, appunti, lettere, memorie, liriche di viaggiatori o da guide per viaggiatori si rivelano utilissime per ritrovare perduti ricordi, antichi usi e costumi, descrizioni di modesti avvenimenti o echi di grandi eventi, curiosità: cose ‘piccole’, ma importanti per scoprire e capire l'identità e la cultura di una comunità.

Trova posto qui l'attenzione riservata nella letteratura di viaggio al fenomeno dei ciucci e dei ciucciari, che ha caratterizzato particolarmente Castellammare di Stabia per buona parte del secolo XIX.

I viaggiatori dei secoli scorsi per le loro lunghe peregrinazioni si erano serviti all'inizio di animali da sella (così avevano fatto anche Montaigne e Milton) o di barocci. Solo più tardi, quando le strade lo permisero, poterono adoperare la carrozza, quella postale o quella di un vetturino, se non la propria.

Ebbero, in ogni modo, per lo più bisogno d'altri mezzi per quelle escursioni (spesso non lunghe ma ardue per l'impraticabilità dei percorsi) che, secondo l'epoca o la tendenza culturale e sentimentale, avessero potuto appagare la sete di conoscenza, o quasi concretare l'idea del bello e del sublime, o soddisfare la ricerca del pittoresco, o assecondare il senso dell'avventura, il gusto dell'orrido, dell'esotico.

Con il tempo furono agevolati dall'apertura di nuove strade, adatte al passaggio di carrozze più leggere, e dalla costruzione di qualche ‘strada di ferro’; ma, in alcuni casi, solo grazie ai loro stessi piedi, o alla barca quando la meta era raggiungibile per mare, o al cavallo da sella, al testardo mulo e al paziente e più piacevole asinello poterono scoprire le affascinanti tracce dell'antico, le bellezze più varie e nascoste della natura e quant'altro d'originale e singolare li avesse attirati. A volte i viaggiatori dovettero ricorrere a questi ultimi mezzi anche per raggiungere la locanda o l'albergo o la casa privata che li avrebbe ospitati.

In special modo a partire dagli inizi del secolo XIX, le località maggiormente toccate dal fenomeno turistico si organizzarono, in conformità con le loro caratteristiche geografiche e con le esigenze dei voyageurs, non solo per la costruzione o l'allestimento d'alberghi e pensioni, ma anche per offrire modesti e possibilmente adeguati servizi di trasporto. Alcuni centri del Mezzogiorno e del Napoletano videro inoltre in questa più semplice attività un'inaspettata e quasi celeste opportunità per gli abitanti più bisognosi che avessero voluto rimediare l’indispensabile per sopravvivere.

Castellammare non fu da meno nel darsi da fare, favorita in questo dalle attrattive paesaggistiche, dalle risorse naturali, dalla condizione di sede estiva dei regnanti e conseguentemente di diplomatici e nobili, dalla posizione centrale nel golfo di Napoli che facilitava le escursioni a Sorrento, ad Amalfi, a Pompei ed ai suoi stessi dintorni, infine dalla stazione ferroviaria. Anzi, nel giro di pochi anni arrivò ad un punto tale, nell'offerta di facchini, vetturini, barcaioli e soprattutto di ciucci e ciucciari, da suscitare non solo la meraviglia o la curiosità o l'ilarità o il fastidio dei viaggiatori, ma anche l'attenzione sia dei visitatori accorti e interessati al caratteristico e al sociale, sia di quelli avvezzi ad osservare usi e costumi.

Intendendo qui riportare alcune indicative testimonianze, appunto sulla straordinaria e peculiare presenza di asini e asinai a Castellammare di Stabia nell'Ottocento, cominciamo da quella di Silvestro Šcedrin. Il paesaggista russo, da alcuni considerato il vero iniziatore del plein air e della Scuola di Posillipo, in una lettera da Napoli ai genitori, datata 10 agosto 1820, parlava dell'asino come di un mezzo di trasporto indispensabile per chi come lui continuamente era alla ricerca di luoghi interessanti da dipingere:

Grazie a Castellammare ho recuperato ciò che avevo perduto, sono andato in giro su un asino di qua e di là, dipingendo studi di posti meravigliosi (1).

Nella successiva lettera del 20 settembre 1820, ancora da Napoli ai genitori, egli delineava la singolare e forse già tipica figura stabiese, il ciucciaro, che spesso incontreremo nella letteratura di viaggio su Castellammare. Nel caso specifico si trattava di un ragazzo che, accompagnando il viaggiatore, forniva informazioni e notizie persino sul clima politico e sui moti rivoluzionari:

Qualche giorno dopo il mio arrivo, una mattina stavo salendo sul mio asino quando con aria di mistero il ragazzo mio accompagnatore cominciò a dire che a Napoli c'era una rivolta e che da loro c'era un altro re, e anche che il ministro russo se ne era andato da Castellammare con la sua famiglia. Io lo ascoltavo senza capire nulla, gli chiedevo di spiegarsi meglio, ma lui mi sussurrava all'orecchio lo stesso guazzabuglio, nonostante che fossimo soli e in uno spiazzo. Tornato a casa chiesi al mio padrone di spiegarmi il discorso del ragazzo. In quei giorni Batjuškov non era a Castellammare. Il padrone mi diede una spiegazione sbrigativa, dicendo che si trattava di una impertinenza (2).

L'asino, con o senza il carico, e il piccolo ciucciaro, talvolta pensieroso, compaiono anche in alcune tele di Šcedrin raffiguranti le vicinanze di Napoli, inseriti in paesaggi molto suggestivi e profondamente umani, dei quali fanno cogliere ancor piu, con la loro presenza, l'atmosfera raccolta, di silenzio, di meditazione.

In quegli anni la ‘pittoresca’ Castellammare attirò un gran numero di artisti e viaggiatori (3) e qualcosa necessariamente mutò nel modo di accoglierli.

Fu il francese Edouard Gauttier d'Arc a testimoniare non senza ironia, nel Voyage de Naples à Amalfi (Parigi 1827), l'enorme ed insolita moltitudine d'asini in attesa dei turisti a Castellammare. Nel luglio del 1825, il Gauttier d'Arc ed un suo amico, diretti ad Amalfi con la vana speranza di trovarvi la Tabula, decisero di raggiungere da Napoli per mare Castellammare e di qui proseguire il viaggio per terra. Superata la chiesa di S. Maria di Porto Salvo e sbarcati alle cinque del pomeriggio, dopo tre ore di navigazione, videro meravigliati l'impensato scenario:

Si crederebbe, al primo colpo d'occhio, che questa città sia stata appena invasa da squadroni d'asini, tanta è la massa di questi animali che inondano la piazza e le banchine(4).

Uno degli asinai si prese cura dei viaggiatori per condurli in albergo, da dove il mattino successivo sarebbe stato ripreso il viaggio, e prospettò con successo la possibilità di visitare nel frattempo qualche sito della città:

Uno dei cavalleggeri della truppa si carica dei nostri bagagli e ci conduce all'albergo reale, in cui bisognerà passare la notte, considerato che poche sono le parti del reame delle Due Sicilie dove si può viaggiare in modo sicuro dopo il calar del sole.

Ci assicura tuttavia che possiamo visitare senza pericolo i dintorni della residenza reale, e noi facciamo chiamare l'indispensabile cicerone che deve servirci contemporaneamente da guida e da rapsodo(5).

Appare evidente che la categoria dei ciucciari s'era già allora ampliata a dismisura e sregolatamente, ma in qualche modo era cresciuta anche nell'offerta dei servizi.

In quegli stessi anni si serviva degli asini di Castellammare anche Francesco I, che regnò dal 1825 al 1830 e che, secondo quando riferiva il Parisi, "fra tutte le città del regno Castellammare aveva più a cuore [...] e reduce dalla Spagna negli ultimi anni di sua gloriosa vita la mal ridotta sua salute ivi curava e sana e perfetta riacquistavala, onde il real casino di Quisisana vieppiù abbelliva, e decorava"(6). Di lui, tuttavia, l’antiborbonico Niccola Nisco riportò un curioso episodio:

In ricompensare le sue insolenze in vero Francesco I era generoso: gli pareva dovesse pagar da re le sue azioni da lazzarone. [...]. Un’altra volta nel bosco di Castellammare, facendo una cavalcata sull’asino, per caso cadde senza farsi gran male. Impetuoso nell’ira bastonò il povero asinaio, e poi gli disse: Va a ricorrere. L’asinaio a lui: Maestà, a chi posso ricorrere? a Domineddio? Questa risposta lo fece rientrare in sé, e regalò molte piastre a quell’uomo(7).

Luoghi di raccolta degli asini, come si è visto, erano la piazza e le banchine che davano sul porto. Apprenderemo anche, grazie a successive testimonianze, che un altro punto di raccolta fu piazza Quartuccio, da cui si potevano iniziare escursioni a Quisisana o a Monte Coppola o nei dintorni di Castellammare. A partire dal 1842 fu la stazione ferroviaria a costituire un sicuro riferimento e a far nascere nuove abitudini per ciucciari e vetturini; infatti, è facile immaginare - del resto ne darà una conferma più avanti il de Bourcard - che gli asinai potessero spostarsi da uno all'altro dei luoghi secondo le circostanze o le ore della giornata.

Giulio Genoino, che cantò in terzine la nuova strada ferrata, connotò l'arrivo a Castellammare proprio con l'assordante presenza di ciucciari e vetturini:

Scinne, Don Mà, ca sì a Castiellammare.

Te stonano ciucciare, e ccarrozziere

Chi pe Ssorriento, e cchi pe Quisisana(8).

Il fenomeno, singolare al punto da suscitare la meraviglia anche di viaggiatori non sprovveduti, si diffuse ancor di più e caratterizzò con il tempo la città, tanto che non mancarono di segnalarlo gli estensori delle guide turistiche.

Così fece nello stesso 1842, in un'interessante e precisa nota de La penisola di Sorrento, Francesco Alvino. Avendo "percorso a piedi quasi tutta Castellammare" ed essendosi quindi recato, prima di pranzo, "sugli asini ad osservare i bei boschetti e la casa del re"(9), volle avvertire il visitatore circa il numero "incredibile" degli assordanti quadrupedi (per altro ora definiti "belli ed allestiti", "comodissimi") e circa i loro conduttori ("allegri" e "praticissimi", sebbene "asseriscano sfrontatamente paradossi grandissimi"):

È incredibile il numero prodigioso d'asini che veggonsi sulla penisola di Sorrento, e particolarmente a Castellammare. Sono per altro comodissimi mezzi di trasporto ed usati da tutti: con soli sei carlini (circa franchi 2 ½) se ne ha uno col suo conduttore per quattro o cinque ore. Pronti in tutti i momenti bastano pochi minuti per averne un'infinità belli ed allestiti. Nel vedere che a loro ci avvicinassimo, simili all'asino di Sileno sperarono intimorirci co' loro ragghi, ed a gara innalzarono le loro voci, corrisposti da simili ed infiniti cori che si trovavano in ogni angolo del paese [...]. I conduttori poi sono allegri e vivaci; la vita è per loro una continua festa. Conoscono i nomi de' rinomati viaggiatori e degli stranieri che visitarono la loro penisola, ma goffamente li pronunziano. Lungo tutto il cammino ti divertono cogli aneddoti; e talvolta gli ultimi venuti servono per divertire i nuovi avventori. Taluno capisce il francese e l'inglese, però tanto quanto riguarda il suo mestiere: infine si vantano istruiti di tutte le meraviglie del loro paese, e sebbene, pari a' Ciceroni, asseriscano sfrontatamente paradossi grandissimi, pure bisogna avvalersene essendo praticissimi delle loro contrade(10).

Nella descrizione risultavano, tutto sommato, gradevoli e simpatici lo spettacolo degli infiniti asini raglianti e il comportamento degli asinai, goffi per come parlavano e paradossali per ciò che dicevano, ma utili in ogni modo.

Tuttavia l'Alvino fu indulgente e garbato, com'era suo costume. Spesso, invece, l'ignaro visitatore era infastidito da clamori e resse, o per lo meno divertito per una situazione strana e ridicola. Tanto ad esempio si legge nella Storia maravigliosa di Don Iacopo Ignazio Ferraris, un "racconto fantastico" basato secondo l'autore, il francese René de Maricourt, sul diario di un notaio stabiese morto qualche anno prima del 1850. Don Iacopo rievocava uno strano spettacolo che lo aveva colpito quando era fanciullo:

Poco sopra incontrai una schiera d'asini, asinelli, asinoni, ciuchi, muli, mule; quante bestie e che musica! O San Gennaro! Ridevano i viaggiatori. Erano Americani, Tedeschi, Russi in passeggiata, Inglesi specialmente, insomma tutta questa roba forestiera che ogni tanto ci capita per la villeggiatura(11).

Il collegamento con Napoli mediante la ferrovia e con Sorrento mediante la carrozzabile fece di Castellammare un importante svincolo e ciò incrementò molto l'attività dei vetturini, che trasportavano i turisti in penisola. I ciucciari tuttavia non trascurarono le opportunità che la nuova strada, spesso colpita da frane, offriva loro. Lo riferì in una pagina del suo Viaggio in Italia, in relazione all'anno 1843, lo scrittore francese Paul-Edme de Musset (fratello del ben più noto poeta Alfred), il quale non mancò di esaltare i poveri e bastonati asini della Campania forzati ad essere "eccellenti corridori", mentre, pur essendo uno dei viaggiatori più comprensivi e benevoli nei confronti dei napoletani e della napoletanità, non gli "sfiorò nemmeno l'idea di compatire" il crudele asinaio:

Tornati a Castellammare, imbocchiamo subito la preziosa via di Sorrento, intagliata nei fianchi della roccia, come il tratto di strada tra Nizza e Genova. Le piogge, qui, causano spesso frane e può capitare che, da sera a mane, il transito delle carrozze diventi impossibile. Un accidente del genere era già accaduto nel corso della notte precedente, in concomitanza appunto con la mia decisione di recarmi a Sorrento. Un calesse mi trasportò da Castellammare all'ostacolo, che sormontai a piedi, convinto di trovare, al di là, qualche vettura. Mi ritrovai, invece, in mezzo ad una banda di asinai, che si contesero l'onore di mettersi al mio servizio. A meno che non si voglia procedere al passo, il viaggio a dorso d'asino è né agevole né lento. Gli asini della Campania sono eccellenti corridori. Quando sentono, a tergo, battere in terra i piedi nudi del padrone, che si accosta per bastonarli e tirar loro le cinghia, reclinano le orecchie e prendono il volo. L'asinaio li sprona ancora da lontano, ripetendo l'urlo selvaggio col quale accompagna le busse. Guadagnai due leghe in meno di un'ora, combattuto tra il piacere di procedere spedito e la pena che mi faceva il povero "ciuccio", del quale apprezzai coraggio e bontà. Quanto all'asinaio, saldo gaglioffo d'un vent'anni, non mi sfiorò nemmeno l'idea di compatirlo(12).

Emmanuele Bidera, attento al popolare e al colore locale, nel primo volume della Passeggiata per Napoli e contorni del 1844, mise in chiara evidenza la petulanza rumorosa e molesta tanto dei ciucciari, quanto di tutti coloro i quali a Castellammare vivevano o sopravvivevano offrendo simili servigi ai turisti:

Appena usciti dalla stazione ci assediò una folla di carrozzieri, di ragazzi con somari, di facchini, di garzoni di locande, che a coro ci offrivano i loro servigi con modi efficaci quanto molesti. Io presi il partito di andare all'Albergo Reale. Ivi una nuova scena: una ciurma di facchini pareva a noi arrestare una carrozza, tanta era l'importunità e la petulanza clamorosa con cui si fecero agli sportelli, mentre il cocchiere fermava i cavalli. Forse quei poveri forestieri la credettero aggressione o qualche rivoluzione. Una voce chiese dalla carrozza un poco d'acqua, forse per qualche svenimento; il che calmò quello schiamazzo, mistificando tutta la piazza, sino il cocchiere, e i cavalli(13).

La drammatica situazione era espressione certamente della rozzezza e dell'improvvisazione di una parte di quegli Stabiesi che, per sbarcare il lunario, si dedicavano alle più umili attività turistiche.

Il Bidera, tuttavia, non parlava per astio nei confronti della città, che subito prima aveva presentato come "celebre più di Aquisgrana e di S. Renano [...] di giorno in giorno più bella e popolata [...] il più galante ritrovo che dà la medicina alla moda"(14). Del resto anche a proposito di Napoli egli notava l'insolenza dei cocchieri, dei ciucciari e dei facchini(15). Infatti dappertutto, tranne alcune felici eccezioni(16), era consuetudine molestare e forzare il forestiero, a causa della forte concorrenza d'altri poveri affamati(17). Eppure qui non si può non registrare con sorpresa il giudizio di Karl August Mayer, il quale, nel suo lavoro odeporico su Napoli e i Napoletani del 1840, dopo aver parlato delle caratteristiche negative e positive di vetturini e ciceroni di tutta Italia, così conclude il discorso: "Quando tu hai preso una volta a servizio un cicerone, un cocchiere, un barcaiolo, un guidatore d’asini, o chicchessia, non cambiarlo, se ha acquistato il tuo favore. Questi uomini si attaccheranno fedelmente a te, e ti useranno infinite attenzioni. È lungi dagli italiani la rozzezza dei cocchieri e dei barcaioli tedeschi"(18).

Ma a Castellammare pare si superasse davvero ogni limite, visto che la letteratura di viaggio ottocentesca fu costante nel rilevare proprio qui il fenomeno come esagerato o tipico. Anzi, anche qualche commediografo napoletano volle trasportare sulla scena le più comiche situazioni: fu il caso di Gaspare De Cenzo che scrisse e rappresentò in Napoli con la sua compagnia L’appicceche de li ciucciare de Castiellammare.

Eppure, bisogna riconoscere ed apprezzare le capacità degli Stabiesi, perché col tempo essi riuscirono ad imporre, a creare il bisogno dell'asino, a farne una moda per turisti e villeggianti, anche per gli stranieri e per la "maggiore nobiltà", alla ricerca di vaghe ebbrezze o d'insolite esperienze. "Tutto si fa cogli asini", riferiva lo stesso Bidera:

La vita di Castellammare per alcuni è la vita degli animali anfibii; metà del giorno nei bagni, metà sulla terra: altri godono di cavalcare su gli asini. Tutto si fa cogli asini: si giunge al caffè, si va in casa, o in campagna su gli asini: queste cavalcate sono il divertimento della maggiore nobiltà, e degli stranieri; e quantunque io abborrisca e tema la razza asinina, pur mi convenne seguire la moda per condurmi a Quisisana(19).

Il nostro non fu deluso dall'asino che lo portò prima su per la ripida salita della collina, rasentando il teatro, all'ombra d'olmi e castagni che fra tronco e tronco lasciavano intravedere il mare e la costa, tra mormorii di acque zampillanti e gorgheggi di uccelli, per poi farlo scendere dall'opposta parte, "ancora più romantica e deliziosa"(20), alla nuova strada costeggiante il mare fino a Vico, mentre il ciucciaro faceva da cicerone narrando "una lunga storia degli spiriti del castello la Lettera, situato sopra un'alta roccia"(21).

La moda di cavalcare gli asini per escursioni e per divertimento, da parte di turisti di ogni nazionalità e di allegre brigate di giovani anche di elevato grado sociale, fu diffusa e prolungata nel tempo, ma naturalmente tolse sempre più tempo e spazio a chi continuava a ricorrere all'asino nella ricerca di solitudine e di tranquillità. Un'eco di ciò si coglieva nel romanzo epistolare Monte Coppola, che prendeva il titolo dall'allora celebre collina stabiese, scritto intorno al 1859 e pubblicato nel 1868 dal barone Giuseppe Gallotti, autore romantico napoletano. Secondo l'invenzione del Gallotti, durante l'estate del 1858, nelle ore in cui era meno frequentato da villeggianti e viaggiatori, sul Monte Coppola giungevano con gli asini e si incontravano il duca Caracciolo e Eduardo; il primo già con molti anni e intense non felici esperienze sulle spalle, il secondo più giovane ma malinconico e affetto da una malattia che lo avrebbe portato prestissimo alla morte, entrambi amanti della solitudine e del silenzio. In questa cornice ed in questa situazione, che costituivano il pretesto letterario per la propalazione dell'epistolario di Eduardo lasciato in eredità al duca e pervenuto nelle mani dell'autore, trovavano naturale posto la moda legata agli asini e la particolare abitudine degli asinai stabiesi, già descritta dall'Alvino, di narrare ai villeggianti fatti e curiosità riguardanti altri villeggianti:

A quei dì Castellammare era popolatissima di gente di alto grado, e molto alla moda, la quale era convenuta colà per passarvi piacevolmente i mesi estivi. E per le amenissime ed ombrose vie che menano a Monte Coppola spesso incontravi come raccolti insieme in varii drappelli uomini e donne, napoletani e stranieri, che cavalcando asini le percorreano. Il Duca avea appigionato un quartiere in quella contrada in Castellammare che vien denominata la Montagna; avea preso a nolo un asino, ed un asinaio; il mattino cavalcava nel bosco, e quando poi il sole era presso il suo tramontare, spesso in una carrozza da nolo percorreva la bella via che da Castellammare mena a Vico e Sorrento; spesso il mattino entrato nel bosco si fermava alle Fontane, al Belvedere della Regina, o in altri luoghi di quel bosco, donde meglio si può contemplare

Quel bello eterno ch'educò natura

che lo straniero c'invidia; e di cui, se fosse dato all'uomo di poterci torre quel bel dono di Dio, saremmo già stati da gran tempo privi; ed in quei luoghi si rimaneva per lunghe ore con un libro, o con un giornale in mano.

Egli avea spesso incontrato per via l'uomo che ora gli sedea vicino; avea veduto come esso pure era amico di solitudine; spesso per caso si eran fermati allo stesso tempo in quei luoghi che colà chiamano punti di veduta; la comunanza dei gusti avea ingenerato simpatia, la simpatia si era mutata in amicizia.

Gli asinai di Castellammare sanno l'arte di aver subito contezza di tutti coloro che vanno colà a villeggiare, e ne narrano i fatti più particolari a chi vuole, ed a chi non vorrebbe saperli, sicché ognuno di quei due, poco dopo ch'erano giunti a Castellammare, avea saputo chi fosse l'altro, ed in quello stesso luogo ove ora erano seduti circa due mesi innanzi per non so quale occasione avean cominciato a parlarsi, poi avean cominciato a cavalcare insieme, a prestarsi libri e giornali; e, non distratti da altre conoscenze, in poco tempo si erano stretti in maggiore amicizia di quella che non si sarebbero stretti se si fossero altrove conosciuti. [...].

Intanto che quei due queste cose discorreano tra loro, quattro giovani dame e taluni giovani scherzevolmente conversando tra loro erano discesi da loro asini, e s'inoltravano per quella parte del piano di Monte Coppola, dove non era permesso di entrare a cavallo. Queste giovani erano di diverse contrade di Europa; erano delle più belle che villeggiavano in Castellammare, ed appartenevano a quella classe che dicesi eletta. Però i loro discorsi erano tutti in quella lingua che la gente di alto grado crede oramai vergognoso ignorare.

La vista di quella gente, e di quell'allegria certamente non irritò gli animi del duca, né di Eduardo: se non che questi recitò al duca, facendovi pochi mutamenti, quei versi del Petrarca

Per te non fa lo star tra gente allegra

Vedova sconsolata in veste negra.

Si levò di sedere, uscì di quel luogo insieme col duca, e ricavalcati i loro asini, si avviarono verso le loro case(22).

Ciò che accadde nel 1855 ad una villeggiante di rango, la marchesa Elisabetta Rosalia di Sassenay, confermava che con gli asini si faceva davvero di tutto, grazie all'estro degli Stabiesi. Questa giovane signora, che a Castellammare mise al mondo una bambina, fu sottoposta per l'occasione a strane e durissime cure popolari concluse con una "lunghissima passeggiata" a dorso d'asino:

Secondo l'usanza del luogo, venni messa in un letto provvisorio, preso non so dove e brulicante di cimici [...]. La bambina nacque senza difficoltà, dopo di che venni trasportata in un letto senza cimici e dovetti digiunare per nove giorni. Piangevo dalla fame, ma il mio Cerbero era inflessibile [...]. Allo scadere del nono giorno si dichiarò che ormai stavo bene e due sere dopo presenziai a una lauta cena per solennizzare la nascita. Il tredicesimo giorno feci una lunghissima passeggiata a dorso d'asino: se mi ritrovo ancora viva e sana, e se da vent'anni sono nonna, vuol dire che in quel metodo di cura così primitivo v'era qualcosa di buono(23).

Appare evidente, attraverso le pagine dei viaggiatori, che questi pur semplici mezzi di trasporto avevano una loro rilevanza economica e che la popolazione di Castellammare ne ebbe coscienza. In relazione ai moti del 1848, Charles MacFarlane, che conosceva da tempo la città, riferiva che gli Stabiesi, avendo capito che il tenore di vita di tutti migliorava grazie al turismo, temevano la rivoluzione, perché avrebbe allontanato villeggianti e viaggiatori stranieri e, tra l'altro, non avrebbe fatto lavorare gli asini e i cavalli:

In tutta la cittadina si notava un'aria di pulizia, di comodità, di rifinitezza che al tempo della mia ultima visita era solo abbozzata. Ciò si era potuto verificare grazie al crescente afflusso di forestieri danarosi, e di questo, la popolazione stabile si rendeva perfettamente conto. La gente di Castellammare e dintorni era sempre stata ardentemente monarchica; l'assenza di turisti e la conseguente crisi economica di cui aveva sofferto in quel tribolatissimo anno, aveva fatto sì che diventasse anticostituzionale e controrivoluzionaria. "Chi", dicevano, "ha allontanato i Lord inglesi e i principi russi e tedeschi che ci davano da mangiare, che ci arricchivano? Chi, se non i rivoluzionari? Da quando è stata data la Costituzione, non abbiamo più avuto né benessere né pace. Noi non vogliamo la Costituzione: vogliamo la pace e il ritorno dei forestieri. Le nostre case sono vuote, i nostri cavalli e i nostri asini non lavorano. Non abbiamo nulla da fare!"(24).

Fu Francesco de Bourcard, nel primo volume (Napoli 1857) del bellissimo Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti - specificamente nell'articolo su "Castellammare" -, a parlare degli asini e del ciucciaro più distesamente e con un interesse più forte e più acuto verso il sociale. Intanto così presentava la città:

Castellammare si è più levata in grido presso di noi e dello straniero per l'ameno cammino di ferro, per le fresche aure, per le acque minerali, pe' suoi bagni a mare e pei suoi asini(25).

E ancora:

Castellammare è celebre per l'aria, per le acque minerali, per le eccellenti giuncate e ricotte, per le ottime gallette, e per la gran quantità di asini e ciucciari(26).

Volendo visitare Monte Coppola ("la più bella passeggiata che il mattino far si possa in Castellammare"(27)), egli ripeteva dapprima le non nuove note sull'assedio d'asini e ciucciari, ma poi, giunto sul monte, trasmetteva al lettore tutta la sua soddisfazione per la piacevolezza del sito, dell'aria e del riposante passo dell'asinello che lo portava in groppa:

Per salirvi bisogna prendere un asinello.

Non sì tosto chiamo un ciucciaro, eccomi assediato, circondato e quasi pestato da ciuchi e da conduttori di asini.

Finalmente mi trovo montato sopra uno di quegli asinelli senza saper come, ed accompagnato da mille ah!.. ah!.. ah!.. per ridestare nella mia bestia quel vigore che più non è o per la mancanza di vitto o per la troppa fatica, lascio di galoppo la piazza del Quartuccio, perseguitato dal mio ciucciaro, per salire sul monte; mentre gli altri asinai si fanno tra loro un grazioso scambio di cortesie non udite mai, per la preda del passeggiero perduta, gridando la croce addosso al fortunato che s'impadronì della mia persona per farmi ballare sulla sua bestia a rischio del mio povero collo.

Ma giunti alla salita del monte l'asinello rilenta il passo, quasi per darti l'agio di osservare le pittoresche bellezze di quella via sì amena; ed allora

O voi che in bocca il sigaro tenete,

Fumando in ogni tempo e in ogni loco,

Deh!

cavatelo fuori dalle vostre saccocce, ed accendetelo; ché in fede mia non vi avrà mai dato tanto gusto, quanto il fumarlo in quel sito, a quell'ora, e procedendo con quel passo tardo ed equabile della più paziente bestia del mondo(28).

Segue la pagina in cui il de Bourcard offriva la descrizione più attenta che noi conosciamo del ciucciaro, l'ormai chiaramente tipica figura stabiese, illustrata nell'opera anche attraverso una bellissima tavola acquerellata a mano, con disegno di Filippo Palizzi inciso all'acquaforte da Carlo Martorana. Va notato che in quegli anni a Napoli si era già in un clima naturalistico e Francesco Mastriani, il quale aveva scritto, tra l'altro, La cieca di Sorrento, Il mio cadavere e Il conte di Castelmoresco, direttamente collaborava agli Usi e costumi del de Bourcard, dando con la sua presenza una precisa impronta culturale all'opera. Nel passo sono particolarmente significanti l'attenzione per l'umile personaggio, la pietà per le sue misere condizioni di vita, l'umana considerazione per una gravosa, durissima esistenza che a fatica faceva distinguere il ciuccio dal ciucciaro, nonostante tutti gli sforzi di quest'ultimo per esercitare al meglio il mestiere ed uscire dalla povertà. In fondo, questa pagina era il frutto di un interesse per l'uomo e per il sociale che faceva di Napoli probabilmente l'unico centro letterario in Italia che in quegli anni potesse per cultura e per sentimento confrontarsi con Parigi:

Il ciucciaro!.. Egli è quel giovane che corre sempre dietro il suo somarello, armata la mano da una bacchettina per fargli sentire la forza del suo comando, ed al quale parla col più laconico linguaggio. Un ah! secco ed un ih! prolungato bastano per avviare o far fermare l'asino; servendosi della bacchettina nel crescendo del trotto o del galoppo.

Il ciucciaro, dall'alba fino a notte, non fa che accompagnare sempre il suo somarello, salendo e scendendo monti, girandolando per Castellammare o per quei paeselli circostanti, covrendosi di polvere, bruciandosi al sole, bagnandosi alla pioggia, a seconda della volontà de' passaggieri; e sta sempre pronto a correre come se allora uscisse di casa, altrimenti verrebbe ingiuriato, maltrattato, e forse forse gli toccherebbe pure qualche bastonata. Ma non è questo mai il motivo che spinge ad alzare il bastone contro di lui, perché, essendo siffatto modo di vivere divenuto una consuetudine, egli corre anche più del suo ciuccio.

Quando poi si ritira trafelato, pieno di polvere e grondante sudore, trova nella stalla la sua camera da letto, ove la paglia fa le veci di un soffice materasso; e gittato su la stessa, riposa per tre o quattro ore le stanche membra dalla durate fatiche del giorno.

Vi sono pure de' conduttori di somarelli che menano una vita meno penosa e meno faticata; quelli, cioè, che sono pagati a mese da qualche signore, il quale, prendendo in affitto il somaro, vuole ancora la sua guida. Allora bisogna vedere il ciucciaro! tutto vestito bianco, con un fazzoletto di seta nera fermato al collo da un gran nodo, le cui punte svolazzano in balìa del vento, ed in capo una paglia piena di nastri di vari colori parimente di seta. Vestito a quel modo egli diventa il fashionable il lion de' ciucciari, desta l'invidia dei suoi compagni e l'amore di tutte le vispe contadinotte del paese e de' contorni.

Il ciucciaro è allegro, ti fa ridere con le sue facezie, canta le canzoni popolari se vuoi, e a questo modo si cattiva la benevolenza dei passaggieri, affinché la mancia per comprarsi i maccheroni, come essi dicono non sia tanto avara.

Il ciucciaro capisce il francese e vi risponde nello stesso idioma, e cinguetta anche un pochino l'inglese. Egli non fa che vantare la velocità dei suoi asinelli, a ciascuno de' quali à imposto un nome, come a dire Barone, Ciccillo, Coviello, Rafaniello, Cocozziello o altro più bizzarro ancora; ma io ò sempre trovato migliore per il moto quell'asino che è di più brutta apparenza e che meno viene stimato dal ciucciaro.

Costui, come la formica, lavora nella state e provvede pel verno.

In effetti egli mette da parte per la fredda stagione quel tanto che può nel suo salvadanaio, per non essere obbligato nelle gelide ore mattutine di andare a caricar legna in su le montagne, con la quale fatica vive allora che Castellammare non offre alcun guadagno per sé e pel suo asinello, che il più delle volte vende nel verno, comprandone altro la prossima stagione estiva, se pur lo stato di sue finanze non gliel vieta affatto. Ma prima di giungere a metter da parte una trentina di ducati quanta fatica non deve egli spendere! quanta polvere non deve ingoiare! quanto sudore spargere!(29).

A conclusione dell'ampia descrizione, egli informava sul punto di riunione d'asini e asinai:

Il punto di riunione de' ciuchi e de' loro conduttori è la piazza del Quartuccio, donde muovono per riunirsi alla stazione della strada a rotaie di ferro ogni volta che giunge il convoglio da Napoli, e quindi, se non ànno avuto fortuna nel trovar passaggieri, ritornano al loro posto. Di là poi se si addanno di qualche straniero, di lontano cominciano a chiamare, a salutare(30) e ad invitarlo a montare a ciuccio: e, avvicinandosi a lui, tanto lo stringono e lo circondano che a stento egli può liberarsi da quell'intricato laberinto asinesco(31).

Descrivendo, poi, come si trascorreva la giornata a Castellammare dopo il bagno, il pranzo e il riposo, ancora una volta parlava dell'uso degli asini:

Destatosi bisogna andare verso la bella e ridente strada che mena a Vico-Equense ed alla patria dello immortale Torquato, a quella incantevole Sorrento ove tutto ispira poesia, sentimento e voluttà.

Né sono queste le sole gite che offre Castellammare; dappoiché potrai andare a visitare Gragnano che tanto nome à levato di sé pel suo vino e per le molte fabbriche di maccheroni; potrai recarti pure a Lettere per vedere il suo castello o a Scansano, abbondante di allegre e vispe fanciulle, o in altri luoghi e paeselli circostanti non meno dilettevoli degli altri.

Si prendono dunque degli asini, perché in Castellammare i ciucci fanno le veci delle cittadine(32) e de' cavalli da sella, benché di questi pure se ne trovino facilmente(33).

Il discorso su Castellammare nell'opera del de Bourcard non si esaurì in quest'importante articolo. Nel secondo volume, apparso nove anni dopo, nel 1866, Giuseppe Orgitano, nel descrivere il suo viaggio a Sorrento, parlò della tappa a Castellammare e raccontò l'ormai nota situazione, arricchendola, tuttavia, di nuovi particolari sulle risse tra cocchieri, barcaioli e ciucciari:

Qui bisogna aprir gli occhi, ché se per poco perdurate nella distrazione, correte il rischio d'essere menati in un luogo, che non era la meta del vostro viaggio. Per lo più all'arrivo del convoglio alla stazione s'impegna una rissa accanita tra cocchieri, barcaiuoli e ciucciari. A' vincitori spetta per preda il viaggiatore. Se vincono i ciucciari sarete messi per forza sopra un asino e trasportati a Monte Coppola. Se i barcaiuoli, sarete costretti di andar vostro malgrado a Capri. Però fortunatamente la maggioranza, e quindi la vittoria, sta sempre dal lato de' cocchieri, ed allora monterete in una comoda vettura tirata da due o tre vigorosi cavalli ornati di penne e sonagli, e a gran trotto muoverete per Sorrento(34).

Hippolyte Taine, che passò per la stazione di Castellammare nel 1864, annoverò la "quantità di vetture sgangherate che si accalcavano per accogliere gli stranieri" come una delle brutte cose da rimuovere completamente dalla sua memoria, avida invece di ritrovare "dappertutto, tracce della gioia e della bellezza antiche": "Come si dimenticano qui facilmente tutte le cose brutte!"(35).

Nel 1877, una simile esperienza di caos e di ressa la fece Renato Fucini al suo arrivo a Castellammare. Nel taccuino di viaggio, egli si limitò ad annotare: "ciucci attaccati a bagher alla stazione di Castellamare"(36), attestando, così, l'uso diffuso di carrozzini tirati da asini. In Napoli ad occhio nudo descrisse la confusione e la calca in cui credette che gli fosse stato sottratto il portafogli:

Conservo uno spiacevole ricordo di quell'arrivo. Appena che fummo scesi dal treno ed assaltati da uno sciame di ciceroni, ciucai, vetturini, accattoni et coetera animalia, m'accorsi di non aver più addosso il portafogli(37).

Poi si accorse di aver errato - il portafogli lo aveva in mano - e chiese in cuor suo scusa agli Stabiesi:

Nell'animo mio chiesi scusa anche ai ciucai, vetturini, ciceroni e accattoni castellammaresi, dei gravi dubbi che per dieci minuti avevo avuto su la loro onestà, e proseguii il cammino lungo la marina tutto umiliato, parendomi di scorgere in ogni occhio languido che mi fissava, il dolce rimprovero di Cristo a Pietro: amice, quare dubitasti?(38).

Una scrittrice bolognese molto apprezzata dal Settembrini, Cesira Pozzolini Siciliani, in Napoli e dintorni ("impressioni e ricordi" apparsi prima del 1879 in giornali e riviste quali la Nuova Antologia e l'Illustrazione italiana e ripubblicati a Napoli da Morano nel 1880), specificamente nel capitolo Una settimana a Castellammare, fu molto precisa nella descrizione di luoghi, ambienti e consuetudini che ella visitava e osservava guidata dal purista Ippolito Amicarelli. Lo si può vedere nel delizioso quadretto dell'arrivo dei viaggiatori e in quello della caotica e chiassosa piazza della stazione:

Si scende in fretta dal convoglio, e in mezzo alla folla operosa che va e viene di continuo da Napoli per traffici e commerci, si veggon sempre molti forestieri, smilzi, diritti diritti, col plaid sul braccio, la brava Guida in mano, le lenti inforcate sul naso, il velo bianco o turchino avvoltato al cappello-distintivo de' viaggiatori.

Carrozzoni a due o tre cavalli e calessini a un asinello invadono il largo della stazione: e lì un gridìo continuo, voci confuse, un movimento, un fracasso, un trepestìo da non si dire.... I vetturini ritti a cassetta gesticolano, schiamazzano, schioccan la frusta e gridano:

- Andiamo a Sorrento!....

- Per Sorrento son qua!....

- Si parte subito!....

- Si torna qui per l'ultima corsa.

- A Quisisana!....

- Siam pronti!....

- Sorrento!....

- Quisisana!....

E come se tutto questo sbalordimento fosse poco, i servitori di piazza ti si mettono accanto, ti si appiccicano addosso, non ti lasciano più, si offrono d'accompagnarti al primo albergo, all'Hôtel Royal, all'Antica Stabia, alla Trattoria Toscana, all'Hôtel et Pension Anglaise, all'acqua sulfurea, agli scavi, a casa del diavolo.... e a forza vogliono strapparti di mano la piccola borsa da viaggio(39).

L'insistenza dei ciucciari, anche qui rappresentati, come s'è visto, con l'asinello e il calessino, era ribadita a proposito di un'escursione a Quisisana:

Tutti ne parlano, i forestieri ci vengono a posta, e i ciucciari e i vetturini cominciano a rintronarvi le orecchie ripetendo Quisisana, Quisisana! fin dall'istante che mettete il piede nella stazione(40).

Descrivendo, invece, l'animato e spettacolare "pubblico passeggio" serale lungo la marina, la Siciliani informava su un uso ormai più raffinato e piacevole dell'asino e raffigurava con accuratezza e simpatia, come "una specialità del paese", i "graziosissimi e comodissimi" carrozzini, che "animano e rallegrano il pubblico passeggio [...] offrendo gradito spettacolo" (finalmente!):

Lungo la marina carrozzini tirati dagli asini e carrozze signorili con pariglie e livree, trottando avanti e indietro, animano e rallegrano il pubblico passeggio offrendo gradito spettacolo ai pedoni che si affollano sui marciapiedi, e ai forestieri che seduti sui terrazzi e presso le balconate restano assorti nella contemplazione di quest'ora solenne e di questo panorama stupendo.

I carrozzini di Castellammare, graziosissimi e comodissimi, sono una specialità del paese. Tutti tirati da asini vispi, agili e snelli che trottano come cavalli, tutti piccoli, per due persone, tutti eguali e della stessa forma, tutti coperti a un modo con percal a righe bianche e turchine, a righe bianche e rosse infiorate, con una gala che pende all'infuori intorno intorno all'appoggio, rallegrano a vederli correre così rapidi e scivolar destri e leggieri, e arrampicarsi su per le tortuose e ripide vie di queste montagne.

Annotta.... Ecco la luna pallida, silenziosa, spunta là dietro l'alta cima del Gauro. Le carrozze a poco a poco scompaiono, i carrozzini si dileguano, i rumori cessano, e lungo la strada del passeggio non s'ode che il monotono gemito dell'onda che batte la marina(41).

Ancora altri particolari sui finimenti con cui erano ornati gli asini li dava parlando di una gita sul monte Gauro:

Il carrozzino eccolo qua pronto, e il ciuccio vispo, rotondetto, bardato di tutto punto, con tre lunghe code di volpe che gli ciondolano sotto gli orecchi e sotto la gola, sembra ben disposto a salire(42).

Interessante anche ciò che riferiva a proposito di una "deliziosa"(43) - ma deludente per non aver trovato secondo le speranze le rovine di Stabia - escursione con il solito carrozzino a Gragnano e a Lettere:

- È l'ora, è l'ora: presto, il ciucciaro è giù che ci aspetta....

Ed eccoci in carrozzino un'altra volta.

- Per dove? al monte Coppola?

- No, a Lettere e Gragnano...

Castellammare a quest'ora mattutina è già tutta in moto. Ogni piazza sembra una fiera, tutti vendono, tutti comprano. Grandi barocci, enormi traini stracarichi quale di grano o di grosse balle di cotone, quale di grandi botti di vino ingombrano la piazza dell'orologio presso l'ufficio doganale. Questi barocci lunghi lunghi sono tirati.... figuratevi! da un manzo ch'è nel mezzo sotto le stanghe, da un asino ed un cavallo che gli stanno ai fianchi. Vera fratellanza fra gli animali! Ma per chi non abbia l'occhio avvezzo a questo genere d'attacchi, bisogna confessare che essi destano meraviglia e ilarità. Non di rado avviene che il manzo, con quelle grandi e maestose corna che si rimpasta urti a destra e cozzi a sinistra con poco gusto del povero asino e del cavallo; ed ecco perché questi procedono sempre a rispettosa distanza. E non di rado accade vedere in mezzo alle stanghe d'un baroccio tutto tinto di rosso un sol bove grande, grosso e di bianchissimo pelo; e spesso un manzo in compagnia d'una piccola asina che pare debba restarne schiacciata. Insomma, un baroccio tirato da due o tre bestie della medesima razza, da muli, per esempio, o da un sol paio di buoi aggiogati com'usa nell'altra Italia non s'incontrano mai in questo paese. Ma che frustate! Ma che botte da ciechi sulle povere bestie! E come soffiano, e come ansano a tirare questi carichi enormi! e come si curvano sotto la mano spietata e inesorabile del barocciaio! È proprio vero il detto che in queste provincie corre sulla bocca di tutti: Napoli è il paradiso per le donne, il purgatorio per gli studenti e l'inferno per le bestie!(44).

La Siciliani ci descrisse con dovizia d'immagini e di particolari l'acme della fortuna dell'asino nel turismo stabiese. Altre testimonianze non mancano. Anche Eduardo Scarpetta, che ambientò in un albergo di Castellammare il primo ed il terzo atto della commedia Nun la trovo a mmaretà del 1882, volle riportare nella battuta del proprietario don Gaetano, che dava informazioni su un cliente, le persistenti abitudini dei villeggianti di far passeggiate sugli asini tra amici:

Nonsignore, è asciuto a primma matina, è ghiuto a farse na cammenata ncoppa a li ciuccie assieme a ciert'aute amice suoje ma chillo mò lo vedite tornà, pecché all'11 e meza è uso a fà colazione(45).

Poi iniziò il declino per questa paziente bestia che, ad ogni modo, non perderà subito il suo ruolo in città, anzi sarà ancora compagno ideale per amanti di tranquille escursioni. Alfredo Panzini così, a distanza, ricordava la sua permanenza a Castellammare come professore di ginnasio negli anni 1886-87:

Quando io andai per la prima volta a fare il professore (avevo poco più di venti anni), fu a Castellammare di Stabia, in terza classe di ginnasio. Questo ginnasio era in una casa privata in una viuzza buia e male aulente, e lo chiamavano niente meno che Ateneo.

Avevo sotto di me soltanto quattro scolari a cui dovevo spiegare il De bello gallico di Giulio Cesare. Per passare mattana e vincere malinconia, il bidello, un caro giovane, proprio romano de Roma, mi faceva trovare - dopo scuola - un ciucciariello sellato per me e uno per lui; e così andavamo in quei troppo ai miei occhi smaglianti tramonti, lungo quel troppo azzurro mare Tirreno, a Vico o su a Quisisana o a Gragnano, dove rivedo ancora i festoni degli spaghetti e delle lasagne ad asciugare per le vie, ed il rubino del vino saporitissimo: io Don Cisciotte e il bidello Sancio. Fatta eccezione di questa dimestichezza coi ciucciarielli e col bidello, il Signor Direttore, un valente uomo davvero, era molto contento di me, perché io protraevo la scuola oltre l'usato. Per fare che cosa? per andare avanti a leggere le imprese di Giulio Cesare(46).

Da tempo in concorrenza con gli asini e favorita dalla costruzione di nuove strade, l'agile e snella carrozzella, preferita finanche per tragitti ardui e non pianeggianti, s'inserirà con forza nelle abitudini di villeggianti e turisti, diventando essa stessa di gran moda e meritando l’interesse e l’attenzione di scrittori e pittori.

È pur vero che le troppo radicate tradizioni resistevano il più possibile adattandosi alle nuove realtà. Così i ciucciari cercarono di mantenere un sia pur limitato spazio accompagnando i turisti ben disposti sul più irto persorso per monte Faito, ma probabilmente finirono col perdere la tanto conquistata atmosfera di colore e il loro caratteristico costume e acuirono il pur antico aspetto della rozza brutalità nei confronti delle loro bestie, in un tempo che sempre più non tollerava simili cose e vedeva diffondersi le società protrettici degli animali.

Il racconto e le considerazioni dell'inglese Herbert M. Vaughan, che nel febbraio del 1907 fece uscire un suo libro sulle esperienze di viaggiatore in The Naples Riviera, registrarono, prendendo lo spunto dalla realtà di Castellammare e da un'escursione sul monte Faito, il nascente timido interesse a Napoli per le sorti degli animali e la persistente sordità di asinai e vetturini dei dintorni - particolarmente di un 'cencioso' asinaio stabiese - nei confronti di un problema tanto avvertito nei paesi anglosassoni:

I frondosi boschetti sui fianchi delle colline sfiorati dallo zefiro, una volta consacrati ai piaceri dei tiranni Borbone, ora risuonano di scrosci di rumorose risate, di galanti complimenti e dello stridente gridare dei ciucciari, i conduttori dei poveri troppo sfruttati asini. Infelici pazienti bestie! abitualmente ricoperte di piaghe e scorticature, spinte in avanti al galoppo con spietate bacchette o anche con pungoli, giacché l'asinaio napoletano è assolutamente insensibile a ciò che prova il suo animale. Non che egli sia crudele per pura malvagità, per amore della crudeltà, perché egli può essere davvero benevolo nei confronti del suo cane o del suo gatto; ma la bestia da soma, l'impotente e rassegnato servitore dell'uomo, soffre terribilmente nelle sue mani. è inutile protestare o discutere con il giovane brutale, che al nostro aspro rimprovero semplicemente spalanca i suoi grandi occhi neri e fissa con sincera meraviglia. Non sono cristiani - essi non hanno anima, e le bestie sono loro proprietà e non tua; che cosa importa poi a te come essi sono trattati, purché ti portino bene? Questa è la sostanziale argomentazione dell'asinaio, ed egli ha alta autorità ecclesiastica per sostenere la sua privata teoria, se avesse avuto l'acutezza di entrare in una discussione con noi sulla materia. Quasi ugualmente senza speranza è porre in rilievo il semplice fatto che un ben governato, ben trattato animale dura più a lungo di un mezzo morto di fame, storpiato spaventapasseri. "Quanti anni ha il tuo cavallo?" chiedemmo una volta ad un cocchiere del sud. "è molto vecchio in verità, eccelenza" fu la risposta; "deve avere quasi dodici anni". Nell'essere informato che dei cavalli spesso hanno lavorato bene fino a 20 anni e oltre in Inghilterra, egli ci fece dedurre, abbastanza gentilmente, che pensava che noi stessimo fantasticando. La sensibilità verso gli animali è una comune, per non dire prevalente caratteristica della razza anglosassone, e si deve confessare che la sconsiderata e orribile crudeltà verso gli animali mostrata in tutte le parti della riviera napoletana equivale ad un grave ostacolo per il pieno godimento delle sue molte bellezze e amenità. Le cose stanno migliorando un poco alla volta, è solo giusto aggiungere. C'è una Società Italiana per la Prevenzione della Crudeltà verso gli Animali, ed i suoi membri hanno fatto qualcosa di buono nelle strade della stessa Napoli, ma naturalmente le loro nuove idee non sono ancora penetrate nei dintorni.

Per il sano e l'energico la più incantevole escursione che Castellammare può offrire è l'ascensione alla sommità del monte Sant'Angelo, quel monarca della baia di Napoli, la cui alta cresta luccica con le sue striature nevose fino a primavera avanzata. Il pigro o il debole può fare uso di uno dei poveri oppressi asini, ma è meglio ingaggiare il suo cencioso padrone, che senza il suo facchino a quattro zampe da bastonare e spingere a calci è un essere abbastanza inoffensivo, da usare come guida sul ripido mal tracciato sentiero che conduce in alto. Mentre piano piano saliamo attraverso la regione subtropicale del fico e della vite, dell'ulivo e del carrubo, interroghiamo la nostra guida, che nonostante i suoi vivaci occhi e la sua robusta corporatura sembra un compagno tanto intelligente quanto il povero asino dimenticato nella stalla, dove sta godendo, speriamo, un inaspettato giorno di festa(47).

Ormai, in realtà, scene di ressa assordante con grida di ciucciari e ragli di ciucci, come quelle che avevano per tanto tempo caratterizzato l'accoglienza ai forestieri, si sarebbero potute osservare meglio in qualche altro luogo non toccato dalle moderne strade(48). Né il ciucciaro con il suo somarello era più la tipica figura di Castellammare.

Per lo studioso stabiese Michele Salvati, che nel 1907 in un articolo sulla villeggiatura dei Re di Napoli rievocava - anche attraverso qualche espressione debourcardiana(49) - il bel tempo antico, quando gli asinelli si affaticavano per le rampe di Quisisana, e lo confrontava con il suo, la città aveva perduto certamente qualcosa che di essa costituiva "la vera anima e la vera poesia":

Pur notevoli in altri tempi eran gli asinelli che ansimanti montavano queste rampe incitati dalla voce insistente dell'asinaio (ciucciaro) che vestiva in un modo assai caratteristico, poiché indossava un camiciotto alla marinara, per lo più a righe rosse e bianche, calzoni candidissimi, con fazzoletto di seta annodato al collo dalle ali svolazzanti, in capo una ampia paglia con nastro, e una verga in mano con cui assestava ogni tanto qualche colpo sul dorso della sua bestia. E i pazienti animali, inforcati dal cavaliere o da una timida dama, ogni tanto si vendicavano di tutta quella nobile gente che dovevano menare dalle ville alle città e viceversa, con certi ragli in concerto corale da straziare le orecchie ad un sordo. Asini ed asinai eran sempre pronti al principio di queste rampe per accerchiare il forestiere, che, se non aveva voglia di servirsi della cavalcatura, durava gran fatica per uscire da quel labirinto asinesco e sottrarsi alla petulante insistenza dei ciucciari.

Ma il gran soffio del progresso è passato anche su Castellammare, distruggendo tanti vecchi costumi e tanti tipi caratteristici, che formavano la vera anima e la vera poesia della città. Oggi la conquista della montagna è stata fatta dai cavalli che si trascinano dietro certe carrozzelle a due posti con grande rammarico delle società zoofile, e fra non molto anche ad essi sarà impedita la via dallo intrico dei binari per le carrozze a trazione elettrica(50).

La testimonianza di Giuseppe Biroccini, un viaggiatore che visitò Castellammare nel settembre del 1908 e che amava descrivere i viaggi che faceva con una comitiva di amici, ci confermava come ormai si andasse inevitabilmente in questa direzione:

Parecchi anni fa, rammento che rimasi sorpreso per l'assalto che mi diedero i vetturini che schioccando la frusta e urlando mi volevano condurre o a Quisisana o a Sorrento. Fu necessario l'intervento delle guardie per liberarmi. Ora la scena è cambiata. Avanti la stazione della ferrovia son disposte vetture elettriche che in una comoda tramvia trasportano il viaggíatore fino a Sorrento(51).

L'asino stabiese in letteratura sarà rivisto allora come l'umile creatura che ritrova una sua più naturale e tranquilla dimensione campagnola o suburbana. Già Matilde Serao, in Cuore infermo del 1881, nel descrivere il tragitto di un funerale da Sorrento a Napoli, lungo la via che portava a Torre Annunziata e che costeggiava la linea ferroviaria, aveva preferito cogliere una scena più rustica o di periferia, non tipica di Castellammare:

Ogni tanto s'incontrava un villano a cavallo del suo asino; involontariamente il villano si cavava il cappello(52).

Una memoria dalle belle Passeggiate campane dell'archeologo Amedeo Maiuri, del 1949, a proposito del "Ponte delle Figlióle" ai confini dell'area stabiese, restituiva nel nostro secolo l'asino a ruoli più normali, per così dire, di bestia ‘da fatica’:

Siamo nel regno dei cavoli, della classica brássica pompeiana decantata da Catone e da Columella. Filari e filari di cavoli a perdita d'occhio tra casali rossi, ruote di norie gementi al passo di un malinconico ciuco a cui chissà quali tristi pensieri ispira quel lento movimento all'ingiro, e rivoletti di acqua convogliati, arginati, sorvegliati che, con la magra di quest'anno, sono un vero tesoro spillato a goccia a goccia dalle vene della terra(53).

Una scena agreste, questa, forse più ordinaria, ma non per questo serena per il ridimensionato e "malinconico" asinello di Castellammare. Anzi, oggi anche in campagna ci sono i mezzi meccanici e il ciuccio, che più non serve, è una specie in estinzione e sarà dimenticato come la figura del ciucciaro.

Se ne ricorderanno gli Stabiesi, che seppero vivere della sua fatica e forse un po' abusare della sua pazienza?

 

 Post fata resurgo

 

NOTE

1) S. F. Šcedrin, Lettere dall'Italia, in "Rassegna Sovietica", 1978, n. 6, p. 69. L'intera raccolta, costituita dalle 49 lettere di Pis'ma iz Italii (Moskva-Leningrad 1932) tradotte da Dino Bernardini, apparve sui nn. 4-6 del 1978 e 1-2 del 1979. Quanto agli asini, lo Šcedrin probabilmente aveva dovuto faticare per imparare a cavalcarli e non sentirsi ridicolo. Si legge in una lettera dell'anno precedente, indirizzata ai genitori e scritta a Napoli il 25 luglio 1819, a proposito dell'uso del ventaglio da parte degli uomini napoletani: "Dopo un po' anch'io me ne sono comprato uno e per lungo tempo non ho avuto il coraggio di adoperarlo, lo portavo in tasca, immaginatemi con il ventaglio: una cosa anche più buffa di me a cavallo dell'asino, quando mi reggevo con un bastone puntato a terra" (Ibid., p. 58).

2) Ibid., p. 72. Konstantin N. Batjuškov fu un poeta neoclassico innamorato del Tasso e dell'Italia, protettore degli artisti russi operanti nel nostro paese; soggiornò a Roma, a Napoli, dove fu anche segretario dell'ambasciata russa, e nei dintorni di Napoli.

3) Si veda come L.-Th. Turpin de Crissé, nei Souvenirs du Golfe de Naples recueillis en 1808, 1818 et 1824 (Paris 1828), esaltava la ‘pittoresca’ Castellammare pur notando la sua non buona ricettività: "La città di Castellammare, sita nel cuore del golfo e quasi di fronte a Napoli, offre al disegnatore vari tipi di studi interessanti. La bellezza degli alberi, il paesaggio movimentato e poi, proseguendo da Pozzano verso Vico, le forme imponenti delle rocce suggeriscono composizioni di uno stile nobile e grandioso. Bisogna però amare davvero la propria arte e le bellezze della natura per fermarsi a lungo in questa cittadina, che non dispone di un vero e proprio albergo. [...] Ma questi lievi fastidi, di poco conto secondo me, saranno compensati dalla vista di un bel paesaggio che ha le proporzioni adatte per la pittura, se così posso dire, e in cui gli edifici, le rocce, gli alberi e il mare sono disposti nel modo più gradevole e variegato" (Ricordi del Golfo di Napoli. Traduzione e nota di G. Merlino, Napoli 1991, p. 56).

4) E. Gauttier d'Arc, Voyage de Naples a Amalfi, in "Revue Encyclopédique", nov. 1827, p. 282.

5) Ibid.

6) C. Parisi, Cenno storico-descrittivo della città di Castellammare di Stabia, Firenze 1842, p. 26.

7) N. Nisco, Storia del Reame di Napoli dal 1824 al 1860, Napoli 1908, p. 3.

8) G. Genoino, A Don Marco Varrecchia. Ncoppa a la strata de fierro, in "Poliorama pittoresco", 1842, p. 168.

9) F. Alvino, La penisola di Sorrento, Napoli 1967, p. 31.

10) Ibid., n. 1.

11) R. de Maricourt, Storia maravigliosa di Don Iacopo Ignazio Ferraris notaio reale a Castellammare, Firenze 1876, pp. 5-6. In questa edizione italiana non è indicato il nome del traduttore.

12) B. Iezzi, Viaggiatori stranieri a Sorrento, Sorrento 1989, pp. 63-64. La traduzione del passo, dal Voyage pittoresque en Italie. Partie méridionale et en Sicile (Paris 1856) di P.-E. De Musset, è dello stesso Iezzi.

13) E. Bidera, Passeggiata per Napoli e contorni, vol. I, Napoli 1844, p. 283.

14) Op. cit., pp. 282-283.

15) Cfr. il par. sull'acquaiuolo in "Le acque di Napoli", a p. 301 del I vol.

16) Penso a quanto aveva detto il già menzionato Šcedrin nella lettera al fratello Apollon del 26 settembre 1826, a proposito di Amalfi: "Vivo tra i monti e tra gente anch'essa simile ai monti, che non si interessa di nient'altro che del proprio commercio con la Calabria e delle fabbriche di carta. Di conseguenza tu potresti concluderne che la gente qui non è oziosa. Eppoi non ci sono animali, né cavalli né asini, per trasportare le cose pesanti. Chi penseresti dunque che faccia questo lavoro pesante? Le donne! Invece gli uomini in qualsiasi momento li trovi in piazza a passeggiare con le mani in mano" (Op. cit., in "Rassegna Sovietica", 1979, n. 2, p. 111).

Penso anche a quanto cinquant'anni dopo, nel 1877, dirà Fucini, sempre a proposito di Amalfi: "L'arrivo d'una carrozza in quel remoto cantuccio della terra è un mezzo avvenimento. Tutti si affollano intorno ai nuovi arrivati; li guardano, li osservano, ma stando però a distanza e matenendo un contegno semplice e rispettoso; vi si offrono per servigi, vi esibiscono indirizzi di locande, vi domandano notizie del paese dal quale venite e se volete cavalcare per visitare i dintorni, ma tutto con garbatezza di modi, con un sorriso onesto su la faccia, e ... inarcate le ciglia, amici miei, non vi chiedono l'elemosina! Crediate pure che nel trovare, uscendo di Napoli, un paese dove non ci chiedono l'elemosina, c'è da sentirsi venire un accidente dalla consolazione" (Napoli a occhio nudo, Firenze 1930, p. 63).

17) Già nel 1827, nelle Impressioni di Napoli, August von Platen aveva descritto questi caratteristici aspetti della Napoli popolare: "A fatica procedi attraverso la folla, un po' stanco, / per altre vie; d'intorno il vocìo di venditori / e compratori. Ascolta come lodan la merce gridando! / Qui tutto si vende, la roba, l'uomo, e persino l'anima. / Dalle carrozze t'invitano a gara i cocchieri, / ed un ragazzo povero ti vien dietro, pronto a servirti. / Guarda quel grasso frate, che guida il suo biroccino, / e quell'altro, che frusta l'asinello e sorride giocondo. / Intanto un lenone ti bisbiglia all'orecchio, e un mendico, / biascicando avemarie, stende a te la man vergognosa. / Molta oziosa gente sta dinanzi a un teatro di pupi / a guardar Pulcinella, che straluna comico gli occhi; / più in là qualche indovino mostra i suoi maculati serpenti" (Egloghe. Idilli. Epigrammi. Versione metrica di E. Weidlich, Palermo 1931).

18) K. A. Mayer, Vita popolare a Napoli nell’età romantica. Traduzione dal tedesco di Lidia croce, Bari, 1948, pp. 360-361. Il testo originale, in due volumi, è: Neapel und die Neapolitaner oder Briefe aus Neapel in die Heimat, Oldenburg, 1840.

19) Op. cit., p. 285.

20) Op. cit., pp. 286-287.

21) Op. cit., p. 287.

22) G. Gallotti, Monte Coppola, Napoli 1868, pp. 7-10.

23) Questa traduzione dai Souvenirs de Naples 1854-1869 (Paris 1927) della Marchesa de Sassenay appare in H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Milano 1962, pp. 397-398.

24) Il passo, tratto da A Glance at Revolutionized Italy (London 1849) di C. MacFarlane, appare tradotto in H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, op. cit., p. 309.

25) F. de Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni, vol. I, Napoli 1853, p. 114.

26) Ibid., p. 115.

27) Ibid., p. 117.

28) Ibid., pp. 117-118.

29) Ibid., pp. 118-119.

30) "Vedi la figura". La nota del de Bourcard invita a vedere il menzionato disegno di Fil. Palizzi inciso dal Martorana.

31) Ibid., p. 119.

32) "Nome dato ad alcune piccole vetture da nolo". Nota del de Bourcard.

33) Ibid., pp. 120-121.

34) F. de Bourcard, Usi e costumi di Napoli e contorni, vol. II, Napoli 1866, p. 48. Arrivati a Sorrento, i viaggiatori potevano avere precise informazioni su prezzi e servizi dal cicerone Vincenzo: "Vincenzo vi dirà inoltre che una carrozza a tre cavalli da Castellammare a Sorrento si paga 14, una cittadina 10, un posto di carrozza tre carlini, una gita sull'asino tre carlini" (Ibid., p. 52).

35) H. Taine, Viaggio in Italia. A cura di Attilio Roggero. Torino, 1932, p. 36.

36) Cfr. M. Vannucci, Napoli e Napoli, Firenze 1978, p. 90.

37) R. Fucini, Napoli ad occhio nudo, op. cit. pp. 53-55.

38) Ibid., p. 55.

39) C. Pozzolini Siciliani, Napoli e dintorni, Napoli 1880, pp. 118-119.

40) Ibid., pp. 142-143.

41) Ibid., pp. 122-123.

42) Ibid., p. 128.

43) Ibid., p. 142.

44) Ibid., pp. 138-139.

45) E. Scarpetta, Tutto il teatro, vol. II, Roma 1992, p. 223.

46) A. Panzini, Divus Julius Caesar Imperator, in "Corriere della sera", 24 marzo 1926.

47) H. M. Vaughan, The Naples Riviera, London 19254, pp. 28-30. Il brano è stato riportato in traduzione.

48) Ancora accadevano, infatti, nella Capri di fine secolo secondo la precisa descrizione di Gustavo Chiesi (L'isola di Tiberio, in "Le cento città d'Italia". Supplemento mensile illustrato del "Secolo", Serie IV, Disp. 45ª, suppl. al n. 8791 del 25 Settembre 1890).

49) Mi riferisco soprattutto all'espressione "labirinto asinesco".

50) M. Salvati, La villeggiatura dei Re di Napoli, in "Il Secolo XX", 1907, pp. 931-934).

51) G. Biroccini, Una settimana a Napoli. Roma 1909, p. 19.

52) M. Serao, Cuore infermo, Piacenza 1914, p. 263.

53) A. Maiuri, Passeggiate campane, Milano 1990, p. 280.

(Da "Cultura e Territorio", XII-XIII-XIV - 1995-1996-1997 [1999], pp. 61-91)

(Fine)

Questo studio ora appare —riveduto, aggiornato, ampliato— nel volume edito nel 2006 a Castellammare di Stabia da Nicola Longobardi Editore

G. Centonze, Stabiana. Castellammare di Stabia e dintorni nella storia, nella letteratura, nell'arte

 

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